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Ma veniamo subito al dunque.
Nelle stories su Instagram ha vinto il sì per una recensione post-natalizia su Il ritorno di Mary Poppins, quindi eccomi a condividere con voi il mio punto di vista, questa volta con allerta spoiler.
Disney a natale: il sequel di Mary Poppins
Il 20 dicembre è uscito Il ritorno di Mary Poppins e come da tradizione non potevo farmi mancare il Disney a Natale su grande schermo.
Vedere i classici Disney al cinema è qualcosa che mi rende euforica, piena di entusiasmo. Mi fa sentire felice e sento le emozioni duplicate, come quando ero bambina.
In pratica sono senza contegno e chi mi accompagna lo sa bene.
Quest’anno poi il compito di farmi divertire, piangere e ridere è toccato al sequel di Mary Poppins (1964) e le aspettative erano parecchio alte. Ma a me è andata anche bene, perché c’è chi ha avuto cinquantaquattro anni di tempo per accumularle.
Con il personaggio di Mary Poppins ho sempre avuto un rapporto di amore-odio.
Lei che si definiva “praticamente perfetta sotto ogni aspetto” mi faceva salire un po’ il nervoso, ma sapeva farsi perdonare con le sue canzoni e i luoghi fantasiosi in cui speravo di finire anche io.
Ecco perché dopo aver visto il sequel mi sono chiesta: ma Mary Poppins è tornata?
Mary Poppins vent’anni dopo
Il ritorno di Mary Poppins penso sia caduto in fallo come la maggior parte dei sequel Disney, ai quali fanno eccezione i seguiti di Toy Story.
Trattandosi di un ritorno e non di una rivisitazione, quello che mi aspettavo era di ritrovare il personaggio di Mary Poppins e l’abilità delle storie per bambini di trasmettere concetti complessi.
In questo secondo capitolo ambientato durante la grande depressione (1930), ossia vent’anni dopo la prima avventura, l’escamotage narrativo è dato dalla perdita di un documento bancario che Michael Banks, ora padre di famiglia con tanto di baffi, deve ritrovare per non perdere la casa.
Mary Poppins fa ritorno in Viale dei Ciliegi numero 17 per aiutare la famiglia in questo momento delicato, ma non ha lo stesso impatto che aveva nel primo film.
In questa seconda pellicola l’andamento della trama è molto lineare e segnato da un aumento sempre più sgargiante di colori. Si parte infatti con la visione di una Londra grigia e tetra, che sul finale riprende colore e allegria.
Niente a che vedere con la magia di Mary Poppins, nel quale gli autori hanno saputo alternare momenti di gioia a momenti tristi e carichi emotivamente sfruttando il tipico clima londinese.
Per non parlare del nemico, sempre raffigurato da uno dei capi della banca, che vediamo comparire sotto la forma di un lupo in versione cartoon in uno dei luoghi magici in cui Mary Poppins porta i bambini.
Questa scelta narrativa penso abbia portato sullo schermo il rapporto finzione/realtà, marcando a tal punto i due mondi che le parti più fantasiose non possono più sembrare possibili.
Per qualcuno si è perfino trattato di un musical troppo lungo e carico di canzoni, ma la verità è che dura quasi quanto il primo (130 minuti contro i 138 del primo film).
Questa sensazione penso sia causata dai testi delle canzoni, meno coinvolgenti e d’impatto.
La delusione maggiore è stato sentire il brano che avrebbe dovuto sostituire Supercalifragilistichespiralidoso (che ovviamente so tutta), carico di termini inventati e buttati un po’ a sproposito.
Mary Poppins: da libro a film
Se hai visto Saving Mr. Banks (2013), saprai che il musical di Mary Poppins targato Disney non è altro che un adattamento cinematografico del libro scritto da P.L. Travers nel 1934.
E anche il sequel appena uscito nelle sale deve la sua sceneggiatura a un libro, ossia Mary Poppins ritorna, pubblicato nel 1935.
Al contrario del primo libro, il seguito non ebbe molto successo e penso che questo si sia riflesso sulla versione cinematografica.
Confronto tra Mary Poppins
Il primo confronto che mi è venuto spontaneo è tra le due Mary Poppins.
Ho apprezzato Emily Blunt, ha un volto molto espressivo e nelle scene danzate è stata eccezionale, con la grazia e il contegno inglese dato al personaggio.
Ma non ho riconosciuto Mary Poppins.
La sensazione è stata quella di vedere sullo schermo un’imitazione della tata che mi aveva insegnato a sistemare la camera a suon di musica.
Per quanto Mary Poppins si sia fatta amare dai bambini, il suo ruolo di bambinaia prevedeva il rispetto delle regole.
Sapeva rendere piacevoli anche le cose più noiose, come sistemare la stanza, e quando si trattava di dire no, non si faceva certo indietro.
La Mary Poppins di Emily Blunt è come distratta dal suo ruolo di bambinaia.
In una scena si ferma a chiacchierare sul balcone con ilsuo vecchio amico Jack, lampionaio, e nonostante senta chiaramente litigare i bambini interviene solo all’ultimo.
Così come alla banca, pur vedendoli confabulare e poi correre su per le scale, li lascia andare nell’ufficio del capo del padre a combinare un possibile disastro.
A questo si somma la mancanza di una spalla come lo è stata Dick Van Dyke, nei panni dello spazzacamino Bert, per Julie Andrews.
Bert portava allegria e spronava Mary Poppins, cosa che Jack non è stato in grado di fare: un personaggio che ho trovato insipido e di poco spessore.
Nel cast compaiono anche attori di un certo calibro: Colin Firth interpreta il banchiere che cerca di rovinare i Banks, mentre Meryl Streep una cugina di Mary Poppins.
Entrambi sostituzioni di due personaggi del primo film, ossia il capo della banca e zio Alfred.
Purtroppo sono uscita dalla sala senza lucciconi o con la voglia di cantare.
Ho trovato banale anche l’accenno di storia d’amore tra Jane Banks, che tra l’altro ha seguito le orme della madre diventando sindacalista, e il lampionaio Jack.
La fortuna è che un paio di scene meravigliose ci sono: il ballo dei lampionai, che riprende in modo unico la danza degli spazzacamini, e il cameo di Dick Van Dyke.
E ora che ho ripercorso l’intera storia, mi rendo conto di quanto mi manca Mary Poppins.
Quindi prima che l’emozione delle feste si affievolisca, penso mi infilerò sotto le coperte e lo guarderò con due pacchi di fazzoletti a portata di mano!