Quattrocchi, oggi voglio portarti alla scoperta dello Yueji, il più importante e antico trattato sulla musica cinese, attraverso una breve analisi dell’opera.
Il testo risale all’epoca degli Han Occidentali (206 a.C.-9 d.C.) e, più precisamente, sembra che sia stato composto tra il I e il II secolo a.C., anche se alcuni brani possono essere ricondotti al periodo degli Stati Combattenti (403-221 a.C.).
La ricostituzione della musica antica durante la dinastia Han, dopo le distruzioni operate Qin durante il rogo dei libri del 213 a.C., divenne un compito fondamentale per la corte imperiale. A tela scopo nel 115 a.C. venne istituito lo Yuefu, l’Ufficio Imperiale della Musica, il cui compito era quello di raccogliere e archiviare le melodie nazionali e i canti popolari, e di mantenere cori e orchestre. Lo Yuefu, tuttavia, venne abolito nel 7 a.C. a causa di un progressivo disinteressamento nei confronti della musica antica, in favore di nuovi stili provenienti da ambienti semibarbarici, e dei costi eccessivi di mantenimento dell’Ufficio stesso.
La tradizione cinese offre due diverse storie relative alla stesura dello Yueji: la prima, basata su una testimonianza contenuta nella Storia della dinastia Sui, attribuisce l’opera a Gongsun Nizi, discepolo di Confucio di seconda generazione; la seconda storia, riportata nella Storia della dinastia Han, presenta lo Yueji come un testo confuciano redatto durante il regno dell’imperatore Wu.
Vi è anche una terza teoria secondo la quale lo Yueji è un frammento di un libro ritenuto il sesto classico, lo Yuejing, andato per sempre distrutto nel rogo dei libri, ma di cui esistono vari riferimenti nella letteratura antica.
L’opera è divisa in tre sezioni, formate rispettivamente da trentaquattro, ventisei e trentatré paragrafi.
Il pensiero musicale
Il primo paragrafo della prima sezione dell’opera si apre con un’asserzione che si trova alla base del pensiero musicale cinese: «L’origine di tutte le note è nel cuore dell’uomo».
Il testo prosegue definendo i concetti di sheng (suono, voce), yin (nota, suono) e yue (musica). I suoni nascono dalla risonanza, ovvero dalla trasformazione di un suono in altro suono. Se i suoni sono organizzati in una scala musicale, prendono il nome di note. Se le note sono accompagnate da costumi e danno origine a sentimenti positivi, allora nasce la musica. La musica non è solo un insieme di suoni e note, bensì un’esperienza di rievocazione del passato portatrice di armonia.
Ogni nota trova il proprio corrispettivo in un elemento della struttura amministrativa: «Gong è il principe, shang è i ministri, jue è il popolo, zhi è gli affari pubblici, yu è le risorse».
Così come nell’amministrazione del governo, ogni nota deve essere in armonia con le altre: se le note sono in armonia, anche l’ordinamento sociale sarà equilibrato; se le note sono in disaccordo, anche la società sarà in balia del disordine.
Viene di seguito illustrato l’intento etico della musica: frenare il desiderio per evitare che l’uomo diventi schiavo delle cose, essendo così causa di dolore e disordine. Poiché il li (rito) è strettamente collegato alla nozione di yue, anche alle attività rituali vengono assegnati attribuiti fini etici.
In quanto dipendenti fra loro, musica e rito sono complementari: «La musica serve a unire, il rito serve a differenziare».
Rito e musica sono correlati al mondo naturale così come al mondo soprannaturale. L’ordinamento naturale è creato dal rito, mentre la musica è in sintonia con le energie yin e yang, infatti rito e musica producono gli stessi effetti visibili che le anime producono in modo invisibile: «Nel [mondo delle cose] visibili ci sono rito e musica; nel [mondo delle cose] invisibili ci sono [gli spiriti] gui e shen».
Gli spiriti gui erano le anime yin appartenenti alla gente comune e ai nobili; gli spiriti shen erano le anime yangappartenenti ai fondatori delle dinastie. Le anime nell’antica tradizione cinese erano appunto divise in due gruppi: un gruppo yin e un gruppo yang.
Il trattato prosegue sottolineando l’origine e la funzione della musica e del rito; la musica nel garantire l’instaurarsi di buone relazioni tra gli uomini ha origine dal tian (Cielo), mentre il rito nel promuovere la rettitudine ha origine dalla di (Terra). La musica connessa al Cielo e agli spiriti shen è, di conseguenza, posta a un livello più alto rispetto al rito.
La prima sezione dello Yueji si chiude con una serie di paragrafi che pongono in relazione musica e rito con il sistema cosmologico cinese. La musica, conferendo equilibrio ai rapporti umani, è associata alla stagione primaverile e alla stagione estiva, e paragonata alla rettitudine; il rito, mettendo in evidenza le differenze di rango fra gli uomini, è associato all’autunno e all’inverno, e accostato alla giustizia.
Musica e buon governo
La seconda sezione dello Yueji si apre evocando la leggendaria figura di Shun, l’ultimo dei Cinque Sovrani: «Nei tempi antichi Shun creò la cetra qin a cinque corde per eseguire il canto “Vento del sud”».
I canti e le danze rispecchiavano la situazione politica e quindi diventavano strumento per giudicare la virtù di chi governava. La musica, riflesso delle azioni di chi governava, rappresentava la situazione in cui il popolo si trovava costretto a vivere.
Un breve elogio alla musica, ne esalta la sua facoltà di influire sui sentimenti delle persone e definirli come membri di un data cultura: «La musica è ciò di cui gioiscono i saggi, eppure può [anche] migliorare il cuore del popolo. […] Cambia le abitudini e trasforma i costumi!».
La musica viene accostata alla figura del junzi, l’uomo di valore, il quale non deve accostarsi all’ascolto di suoni depravati e alla visione di spettacoli mal eseguiti, contrari alle virtù confuciane. Il junzi, eseguendo correttamente la musica, è in grado di perfezionare i propri insegnamenti e quindi vedere realizzato il proprio dao, la Via: «[Nel fare musica] il junziparte dal suo fondamento, lo manifesta musicalmente e in seguito ne cura l’ornamento».
Questo brano dimostra che la musica non è altro che il frutto del corretto attenersi alle virtù, le note sono la manifestazione esteriore di tali virtù mentre il ritmo e tutti gli elementi legati alla rappresentazione sono la componente accessoria del suono.
Un paragrafo dedicato ai doni che il sovrano faceva ai feudatari, nel quale vi è un accenno alle pratiche divinatorie, chiude la seconda sezione dello Yueji.
Dialoghi sulla musica
La terza sezione dello Yueji si apre dando delle definizioni parallele di yue e li, che riprendono quelle contenute nella prima sezione.
In questa sezione è riportato un dialogo tra il marchese Wen di Wei e Zixia, discepolo di Confucio, che verte sulla polemica tra la nuova musica e la musica antica. La questione che il marchese solleva concerne il fatto che la musica antica suscita in lui uno stato di stanchezza, cosa che, al contrario, la nuova musica non provoca. Zixia analizza, quindi, le due diverse rappresentazioni musicali: nella musica antica i danzatori si muovono in ordine, le note sono eseguite correttamente e tra loro in armonia. Al termine dell’esecuzione il junzi può coglierne i valori etici: «Il junzi coltiva se stesso e poi la sua famiglia [infine stabilisce] la pace e l’equilibrio sotto il Cielo. Questo è ciò che sgorga dalla musica antica».
Mentre nella musica nuova i danzatori si muovono in modo irregolare, uomini e donne si mescolano e i suoni eccedono e tra loro non sono più in armonia: «[Quando] la musica finisce, non si può discuterne e non si può parlare dell’antichità. Questo è ciò che sgorga dalla musica nuova». (ibidem.)
La risposta di Zixia si conclude così: «Ciò di cui mi avete domandato è la musica; ciò che voi amate sono le melodie. Musica e melodie sono tra loro affini, ma non sono la stessa cosa». (ibidem.) Quindi il discepolo distingue la musica considerata come mero evento acustico, cioè la melodia, dalla musica come ideale che eleva l’uomo e ne permettere lo sviluppo delle sue virtù.
Il marchese Wen, quindi, chiede a Zixia il motivo per cui la musica antica evochi determinati valori etici che la musica nuova non è in grado di evocare. Il pensatore confuciano risponde analizzando l’origine dei suoni, resi “note della virtù” poiché accompagnavano la recitazione degli Inni del Classico delle Poesie, opposti alle melodie della musica nuova, portatrici di lussuria ed eccessi, contrarie alle virtù.
Il dialogo si conclude con un’analisi sull’effetto che ogni singolo timbro musicale causa al junzi nel momento in cui questo giunge a lui.
A questa conversazione ne segue un’altra che vede come protagonisti Binmou Jia e Confucio, i quali discutono sulla danza Dawu, che rappresenta le gesta eroiche del re Wu, fondatore della dinastia Zhou (1045-256 a.C.).
Dapprima è Binmou Jia a fornire una descrizione della danza Dawu, alludendo al fatto che il modo corretto di eseguirla oramai è stato dimenticato.
Poi tocca a Confucio descrivere i sei atti che costituiscono la danza Dawu: nel primo atto è rappresentata la partenza verso nord, nel secondo la sconfitta della dinastia Shang, nel terzo è rappresentato il ritorno verso sud, nel quarto atto vi è la sottomissione dei barbari che popolavano le regioni meridionali, nel quinto è descritta la spartizione del regno in province ed infine, nell’ultimo atto, i danzatori rendono omaggio al Re.
Al dialogo seguono nuovamente brani di ordine filosofico, nei quali la musica è concepita come un vero e proprio dao: «[Se] ci si applica alla musica per regolare l’animo, allora si produce un animo semplice, retto, filiale e sincero; [quando] si è prodotto un animo semplice, retto, filiale e sincero, allora c’è gioia; [quando] c’è gioia, allora c’è pace; [quando] c’è pace, allora c’è costanza; [quando l’animo] è costante, allora è [simile al] Cielo, allora non parla, eppure [ispira] fiducia; [essendo simile agli] essere spirituali, allora non si adira, eppure [ispira] timore reverenziale. [Tale] è colui che si applica alla musica per regolare l’animo».
Lo Yueji si conclude con un altro dialogo, quello fra il maestro di musica Yi e Zigon, discepolo di Confucio.
Zigong chiede al maestro quale tipo di musica è appropriata alla sua personalità. Yi rispondendo alla domanda del discepolo individua sei diversi tipi di personalità alle quali sono correlate altrettante tipologie di canti: alle persone miti e generose sono appropriati gli Inni, a quelle calme e sincere le Grandi Odi, le Piccole Odi a coloro che sono rispettosi, le Arie alle persone pure e umili, i canti di Shang sono adatti alle genti compassionevoli e affettuose, e infine i canti di Qi per coloro che sono buoni e placidi.
Lo Yueji si conclude con un altro dialogo, quello fra il maestro di musica Yi e Zigon, discepolo di Confucio.
Zigong chiede al maestro quale tipo di musica è appropriata alla sua personalità. Yi rispondendo alla domanda del discepolo individua sei diversi tipi di personalità alle quali sono correlate altrettante tipologie di canti: alle persone miti e generose sono appropriati gli Inni, a quelle calme e sincere le Grandi Odi, le Piccole Odi a coloro che sono rispettosi, le Arie alle persone pure e umili, i canti di Shang sono adatti alle genti compassionevoli e affettuose, e infine i canti di Qi per coloro che sono buoni e placidi.
La musica cinese antica
Secondo la concezione cinese di epoca Han il concetto di sheng è strettamente collegato a quello di qi (energia vitale): l’idea è quella di un qi che, salendo verso il Cielo si mescola a un qi che discende sulla Terra, produce i venti, i quali a loro volta generano il sheng. I sheng sono divisi in otto tipi a seconda del materiale con cui sono prodotti: metallo, pietra, argilla, pelle, seta, legno, zucca e bambù.
I sheng sono classificati anche in base all’altezza, e prendono il nome di wusheng (cinque soni): gong (do), shang (re), jue(mi), zhi (sol) e yu (la).
Al sistema dei cinque suoni, si affianca quello dei dodici lü, note ad altezza fissa, divise in un gruppo yin e in un gruppo yang, grazie alle quali si potevano costruire le scale.
La civiltà cinese presenta una vasta gamma di strumenti musicali: gli idiofoni (campane, sonagli, litofoni) rivestono un ruolo centrale, tanto da costituire lo scheletro delle antiche orchestre rituali, a questi seguono i membranofoni (tamburi), cordofoni e aerofoni. Diffuse sono anche le cetre, strumenti di saggi e filosofi, e gli organi a bocca.
Tutte le citazioni sono tratte da A. Guidi, Lo Yueji. Il pensiero musicale nella Cina antica,Bologna, CLUEB, 2005.