Questo 4 giugno abbiamo festeggiato il cinquantesimo anniversario del Gay Pride, la sfilata per la rivendicazione dei diritti della comunità LGBTQ.
Cinquant’anni sono tanti, soprattutto quando si deve lottare per vedere riconosciuto il proprio orientamento sessuale e la libertà di esprimerlo.
Per fortuna, questa lotta continua non è stata inutile e oggi possiamo vederne i risultati.
Intendiamoci, le coppie omosessuali ci sono sempre state, ma grazie a queste battaglie, sempre più persone hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto. Ci sono ancora molte, troppe difficoltà, ma non si può neppure negare che la reazione sociale sia di gran lunga migliorata rispetto a qualche decennio fa.
Tutto ciò ha costretto (un brutto termine da utilizzare, ma è la verità) il legislatore italiano a predisporre una legge per regolare questo tipo di rapporti.
Con la legge n. 76 del 20 maggio 2016, sono nate le unioni civili. E se da un lato è normale che il diritto si trovi sempre un passo indietro rispetto alle evoluzioni sociali, è altrettanto vero che un riconoscimento giuridico segna un traguardo fondamentale verso l’obiettivo dell’integrazione.
Ma come funzionano davvero le unioni civili?
Le Unioni Civili in Italia
Come dicevo, l’introduzione delle unioni civili in Italia ha richiesto molto tempo e ancor più sforzi.
Al di là delle discutibili difficoltà ideologiche, il primo ostacolo era di ordine giuridico: è l’articolo 29 della nostra Costituzione a prevedere che la famiglia debba essere fondata sull’istituto del matrimonio, ossia l’unione tra uomo e donna.
Di conseguenza, il legislatore non poteva semplicemente estendere la definizione di “famiglia” (con tutte le relative tutele) alle coppie omosessuali. Era necessario creare un nuovo istituto da affiancare alla famiglia tradizionale.
Il risultato sono le unioni civili, regolate nella legge 76 del 2016, meglio nota come legge Cirinnà, dal nome della senatrice italiana che tanto ha fatto per vederla approvata.
Dal momento che il primo ostacolo da superare era di tipo costituzionale, le unioni civili devono derivare a loro volta dalla nostra Carta fondamentale e, in particolare, dall’articolo 2, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che all’interno delle formazioni sociali.
A ogni essere umano, non a ogni italiano. Una differenza che oggi si dimentica troppo facilmente.
Il ragionamento è stato molto semplice: le coppie omosessuali esistevano già da anni, ma dal momento che non erano riconosciute dallo Stato, non erano neppure tutelate.
La legge Cirinnà, quindi, definisce queste coppie come “unioni civili” e ne elenca i diritti e i doveri, cercando di equipararle il più possibile alla famiglia tradizionale consacrata dall’articolo 29 della Costituzione.
Le unioni civili garantiscono così il reciproco obbligo di assistenza morale e materiale; l’obbligo di contribuire ai bisogni comuni della coppia in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità lavorativa; la possibilità di determinare il regime di comunione dei beni e, soprattutto, il diritto di ottenere dal partner gli alimenti e di poter essere un suo erede!
Infine, così come le unioni civili possono formarsi, è ovvio che possano anche sciogliersi. Una situazione dolorosa che non può rimanere senza tutele per il partner più debole, che sia uomo o donna. Per fortuna, la legge Cirinnà ha esteso l’istituto del divorzio alle unioni civili.
Una particolarità: a differenza delle coppie sposate, i componenti di un’unione civile possono divorziare senza prima passare per la separazione.
Alcuni detrattori della norma hanno fatto notare che l’equiparazione tra famiglie e unioni civili non è perfetta.
Purtroppo, hanno ragione.
A differenza delle coppie unitesi in matrimonio, le unioni civili non prevedono l’obbligo di fedeltà. Non si tratta solo di una dimenticanza (di certo di cattivo gusto), ma è una previsione che ha anche una serie di ripercussioni negative nel momento in cui si dovesse giungere al divorzio.
Ma la lacuna più grave è senza ombra di dubbio l’assenza della c.d. stepchild adoption, ossia la possibilità per la persona di divenire genitore adottivo del figlio del partner. Inizialmente prevista nel disegno di legge, le critiche dei senatori cattolici sono state tali da obbligare il legislatore a rimuoverla dalla versione finale.
A rimetterci, ovviamente, sono innanzitutto i bambini, che in questo modo si vedono negata una figura genitoriale e l’assistenza, morale e materiale, che per legge ne deve derivare.
Detto questo, le unioni civili sono state davvero un fallimento come alcuni hanno sostenuto, anche all’interno delle comunità LGBTQ?
Il diritto di Due è il diritto di Tutti
Le unioni civili non sono perfette, è vero.
Ma sarebbe ingiusto negare il rilievo che questo istituto giuridico ha avuto per l’equiparazione tra coppie etero e non. Fino a pochi anni fa, qualcosa del genere era del tutto impensabile.
Il primo passo è sempre il più importante.
C’è chi sostiene che il diritto crei cultura, e io sono d’accordo. Grazie al riconoscimento legislativo, le unioni civili diverranno parte integrante della società, un fenomeno di cui perfino i più conservatori dovranno prendere atto.
In un rinnovato contesto sociale e politico, allora, si potrà parlare di completare il lavoro iniziato con la legge Cirinnà.
Un obiettivo importante, non solo per la comunità LGBTQ ma per tutti i cittadini italiani!
Perché?
La risposta è piuttosto ovvia: siamo tutti parte di un’unica società. Fingere che certe persone non esistano non solo è meschino, ma anche perfettamente inutile… se non dannoso. Un ordinamento giuridico funziona soltanto se è il più completo possibile: lasciare ambiti in cui non esiste il diritto significa creare incertezze nei rapporti quotidiani.
Al di là di considerazioni strettamente giuridiche, poi, bisogna sempre ricordare che il riconoscimenti di un diritto non significa mai l’eliminazione di un altro. L’esistenza delle coppie civili non sminuisce in alcun modo il matrimonio (che attraversa, semmai, una crisi di tutt’altro genere).
Una massima che dovrebbe essere citata più spesso recita:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare
(Martin Niemöller).
Pur nella differenza dei contesti, il principio è lo stesso: la negazione di un diritto altrui potrebbe diventare la negazione di un nostro diritto, domani.
Diciamo, a ragione, che l’Occidente è la culla dello Stato di diritto. Questo è un vanto, ma anche un dovere a cui siamo chiamati a partecipare nella vita di tutti i giorni, per garantire che “La Legge è uguale per tutti” non sia soltanto una scritta posta a mo’ di decorazione nelle aule di tribunale.
Non capisco perché la gente dovrebbe togliere il diritto alle altre persone. Ognuno ha diritto di vivere la propria vita senza limitazioni dovute a pregiudizi. E ognuno dovrebbe aver diritto a vivere una vita felice.
Ottima riflessione che mi porterebbe a scrivere un commento istintivo, ma vista la delicatezza dell’argomento, preferisco riflettere bene prima di commentare.
Complimenti.