Buongiorno a tutti e auguri a tutte le donne!
Oggi i musei di tutta Italia festeggiano le donne permettendo loro di entrare gratuitamente, mentre a livello globale ci sarà la mobilitazione delle donne che comporterà una protesta anche sul web. E noi di Quattrocchi abbiamo deciso di aderire a questa protesta, educata rispettosa e social, intervistando Claudia Canali, docente di informatica all’Università di Modena che si occupa di pubblicizzare l’evento e dell’attività di fundraising per estendere l’iniziativa di Ragazze Digitali a tutta la regione Emilia Romagna.
Per rispettare lo spirito delle Ragazze Digitali si è pensato di parlare a quattrocchi tramite skype, ma dopo una serie di insuccessi da parte della mia connessione si è passati al vecchio sistema: il telefono.
Un inizio frustrante, eh?
C: «Sì, è terribile quando la tecnologia ci abbandona. Da informatica ho questa pretesa: deve funzionare! (ride)»
Cos’è Ragazze Digitali e com’è nata l’idea?
C: «Ragazze Digitali è un summer camp che ha inizio poco dopo la fine della scuola (a giugno) della durata di quattro settimane. Si rivolge alle ragazze del terzo e del quarto anno delle scuole superiori , non importa se a indirizzo scientifico o artistico, nella speranza di avvicinarle al mondo dell’informatica tramite l’ideazione di un videogioco. Questo progetto è nato perché poche ragazze si iscrivono a ingegneria informatica, solo il 15%, che tra l’altro sono molto brave. Così, nel 2013 i docenti di ingegneria hanno incontrato l’associazione EWMD (European Women’s Management Development International Network), che si occupa di inserire le donne nel mondo del lavoro. L’obiettivo era quello di creare qualcosa di concreto, non il solito seminario, qualcosa di più interattivo».
Alle superiori non ho mai avuto un bel rapporto con l’informatica, anzi ero proprio negata! E lo ammetto, la trovavo ostica, noiosa e spesso mi ritrovavo a chiedermi “perché?!” con la stessa frustrazione che ho provato nel vedere skype spegnersi a ripetizione. Quindi ancora una volta, perché l’informatica?
C: «Tu ti chiedevi il perché, mentre durante i miei anni alle superiori è andata bene se mi hanno fatto accendere il computer una volta (ride)! Rispetto a quando studiavo le cose sono cambiate, ma è necessario abbattere il grande malinteso su cos’è l’informatica. Noi vogliamo mostrare il lato accattivante tramite le attività di laboratorio, dove si sviluppa un videogioco in python, programma abbastanza user friendly a livello di espressioni sintattiche».
Ma non resta comunque una cosa da uomini?
C: «Cerchiamo di mostrare che non è affatto così. Il videogioco è maschile e continuerà a restare tale se non si avrà una risposta femminile, e posso assicurare che si sente la mancanza di questa grossa fetta della società, che si riflette anche nei prodotti. Proprio per fare arrivare questo messaggio, collaboriamo con un gruppo di ricerca sul gioco, che spiega alle ragazze come si strutturano una storia e le regole di base per costruire un gioco di successo. In modo da avere una visione più ampia e più attuale. In più si è troppo abituati ad avere role model maschili, e per questo invitiamo rappresentanti delle aziende, imprenditrici, che raccontano la loro esperienza. Alcune di queste donne hanno addirittura iniziato senza sapere nulla di informatica. E poi, un altro motivo per cui spingiamo le ragazze verso l’ambiente informatico è perché non ha mai conosciuto crisi».
Chi si occupa dei corsi?
C: «In aula ci sono giovani ricercatori e docenti, parte del futuro corpo insegnante, che rende ancora più concreto tutto il progetto, dal momento che le ragazze si ritrovano faccia a faccia con la vita universitaria. In più si sperimenta il lavoro di gruppo, un buon modo per rompere la barriere della timidezza».
Si tratta di un lavoro tutto al femminile?
C: «No, affatto. Gli insegnanti sono anche uomini, collaboratori interessati al progetto che hanno pensano fosse un’iniziativa positiva. E lo è, ancora di più dal momento che è sostenuta da una componente maschile».
L’informatica resta comunque qualcosa di tecnico, logico… no?
C: «Fa parte di quello stereotipo che cerchiamo di abbattere. La programmazione, la parte di ideazione di un algoritmo che risolve un problema, è creativa. Capire qual è il problema e risolverlo nel migliore dei modi, necessita di creatività. In più adesso l’informatica ha tante anime e viene usata in molte discipline, come per l’elaborazione della grafica e del digitale».
Una curiosità. Quando ho iniziato a navigare su internet si usava proteggersi dietro un avatar, con tanto di nickname fittizio (io personalmente non so quanti ne ho avuti). Si poteva essere chi si voleva, mentire sull’età era quasi scontato; oggi, invece, mettiamo proprio noi stessi nel mondo del web, anche grazie alla diffusione dei social. Questo apre le porte a due temi particolarmente importanti: la sicurezza su internet e il cyber bullismo. Cosa ne pensi? Sono temi che trattate con Ragazze Digitali?
C: «Ritengo che oggi sia importante la sicurezza, intesa nell’ambito della privacy dei nostri dati, proprio perché ci esponiamo molto sui social. È necessario creare consapevolezza, sapere cosa mettere e cosa no. Proprio per questo teniamo seminari di approfondimento su questi temi, ed è molto importante che i giovani diventino utenti consapevoli. Il cyber bullismo, invece, penso sia prima di tutto un problema culturale e poi informatico. Il bullismo è sempre esistito, il fatto che sia offline ti dà una sorta di protezione: se subivi a scuola, fuori dall’ambiente scolastico ti sentivi salvo. Ora non è più così, sei sempre connesso, non si ha tregua. Quello che succede offline succede online in una forma amplificata, più veloce».
Come si può combattere questa condizione della società?
C: «Bisogna fare tanta educazione sia ai ragazzi che alle ragazze: non essere bulli prima di tutto fuori dal web, vivere i social nel modo corretto, come si dovrebbe vivere anche nella vita di tutti i giorni. Il fatto di stare dietro allo schermo aumenta l’aggressività, scrivere e non avere la reazione delle persone davanti ai proprio occhi non mostra quanto può fare male. Quasi ti senti giustificato, come se non fosse reale».
Ci sono altri progetti all’attivo, oltre a Ragazze Digitali, che mostrino la “nuova” informatica?
C: «Ce ne sono tanti di progetti a livello nazionale, ma c’è un panorama molto frammentato. Di recente, però, è uscito un bando del MIUR rivolto alle scuole: proponendo un progetto di creatività digitale (scuole medie) o contro il cyber bullismo (superiori) si può ricevere un finanziamento, e spero davvero che parteciperanno in tanti. Con il comune di Modena, invece, è stato avviato Code it Make it, iniziativa che si rivolge alle scuole medie che prevede l’utilizzo di Scratch, software che permette di creare un mini videogioco con un linguaggio semplificato grazie al suo supporto visivo. L’obiettivo non è solo quello di attuare un percorso con le classi, ma anche di formare i docenti delle medie in modo che il progetto si auto sostenga, diventando parte integrante del curriculum scolastico».
E noi ci auguriamo che questi progetti, importanti anche da un punto di vista sociale, abbiano successo.