Buongiorno Quattrocchi!
Com’è iniziata la settimana?
Spero bene, perché sto per sconvolgerla con un romanzo acuto e, sotto alcuni punti di vista, inquietante.
Dietro una copertina enigmatica, senza fronzoli, e un titolo altrettanto ambiguo si apre il primo romanzo di Athos Zontini. Autore radiofonico e sceneggiatore televisivo pubblicato da Bombiani nel 2016.
Mi è stato insegnato a non giudicare il libro dalla copertina, ma ti assicuro che è davvero difficile. Soprattutto con questo libro.
Non è per niente bella: è di un blu petrolio spento, con il titolo in bianco e il nome dell’autore in nero.
Nella parte in alto troneggia questa grande “O”, che ricorda un occhio e a tratti una vagina.
Lo so, sembra una cosa assurda da dire e da pensare, ma penso sia l’associazione con il titolo, Orfanzia, ad avermi dato questa immagine nella testa.
A questo punto ti starai chiedendo cosa potrò mai dire di un romanzo dalla copertina orrenda. E in effetti non ti resta che scoprirlo.
Come si presenta Orfanzia?
Il romanzo è diviso in quattro parti, ognuna delle quali porta il nome della stagione in cui è ambientata. E l’autore ha iniziato dalla primavera.
Dentro alle stagioni si trovano i capitoli, e all’arrivo della stagione nuova la numerazione riparte da uno.
Di solito non c’è da prestare troppa attenzione a come si presentano i romanzi.
Si inizia dal primo capitolo e si va avanti fino a che non si raggiunge l’ultima pagina.
Qui, però, la scelta di dividere il romanzo in stagioni e poi in capitoli penso sia parte della storia stessa.
La primavera è il momento in cui la natura dà il meglio di sé. Le piante si risvegliano dal letargo insieme ai fiori.
I colori sbocciano ed è l’inizio di una nuova vita.
Ed è con la primavera che veniamo a conoscenza della storia di un bambino che sa dove spariscono i bambini.
Lui sa cosa fanno gli adulti ai bambini troppo buoni, sa benissimo che i genitori sono tutti esseri crudeli e che se non sta attento farà anche lui quella fine.
Lui conosce la verità scomoda che nessun altro sembra voler ammettere, e si ritrova da solo a portarla avanti con convinzione ed estrema attenzione.
Orfanzia e la favola di Peter Pan
All’inizio credevo di trovarmi davanti la storia difficile e cruda di un bambino problematico, che odia il cibo e si rifiuta di mangiare.
Una visione del tutto nuova, perché presentata proprio dagli occhi di un protagonista così piccolo e ancora ingenuo.
Al contrario si è trattato di un romanzo di crescita, anche se molto diverso dal Barone rampante.
In Orfanzia il protagonista resta senza nome fino alla fine, una scelta che trovo molto azzeccata.
L’iniziale distacco nei confronti di questo bambino in cui non mi riconoscevo, si è trasformato fino a scatenare dell’empatia.
Come se nella storia avessi ritrovato dei ricordi sbiaditi.
In questa storia , ci ho visto la rilettura del personaggio di Peter Pan. Anche lui costretto a restare “orfano” dell’infanzia e a diventare un uomo adulto.
Una favola realistica e per questo dura da mandare giù.
Sarà vero?
Di questo romanzo ho apprezzato molto il ritmo narrativo.
L’autore ha gestito con maestria i dialoghi e i pensieri dei suoi personaggi. Che ha reso concreti tramite le azioni e le descrizioni.
Ma soprattutto, ho amato la sua capacità di insinuare il dubbio.
Per capirci, il bambino protagonista non vuole nutrirsi perché sa che i genitori vogliano mangiarlo.
Sì, un po’ come nella favola di Hansel e Gretel, dove la strega attira a sé bambini con leccornie varie per metterli nel forno e cucinarli.
In Orfanzia, però, qualsiasi piatto diventa proibito. Un mezzo con cui gli adulti provano a mettere all’ingrasso i bambini.
Anche quando si tratta di frutta e verdura.
Al protagonista va comunque riconosciuta una buona dose di tenacia. Non cede facilmente a nessuna delle pietanze che sua madre continua a propinargli.
E si presenta proprio come un bimbo sperduto, desideroso di non crescere e che vede nella famiglia il nemico.
Una famiglia che ormai non sa più come fare, che si trova divisa su come agire.
E poi la favola si spezza e questo bambino ha fame.
Ecco, da quel momento temi per la sua vita.
Non è un bambino simpatico, anzi. A volte fa cose crudeli, come infliggere dolore a piccoli animali, e poi ci sono le bravate. Dannose per altre persone.
Ma è proprio in quel momento che inizi a credere a quella (forse non più tanto) assurda convinzione che lui sembra scordarsi pagina dopo pagina.
Ma sarà vero?
Sarà vero che i bambini spariscono perché mangiati dagli adulti?
In un certo senso sì.
L’età adulta finisce per assorbire l’infanzia.
Si allontana, e quello che un tempo sembrava da grandi non piace più come prima.
Può essere giocare con le Barbie, a nascondino o fare i fortini con sedie e cuscini.
Di qualsiasi cosa si tratti, il nostro sguardo non è più lo stesso e a volte non ci piacerà per niente.
Per questo ho trovato tanto straordinario questo romanzo.
Perché è riuscito a dirmi quando crescere non mi piaceva, quando ancora non avevo fretta di essere grande.
Lo consiglieresti ad una tredicenne?
Ciao Fabio, ci ho messo un po’ a risponderti perché volevo pensare bene al consiglio da darti. E sono arrivata a questa conclusione: prima di leggere “Orfanzia” c’è bisogno di crescere anche come lettore o lettrice. Si tratta di un romanzo nudo e crudo in alcuni punti, e in un certo senso metaforico. A una tredicenne mi sento di consigliare “Ascolta il mio cuore”, di Bianca Pitzorno, “La storia infinita”, di M. Ende, e “L’età dei miracoli” di K. T. Walker. Per apprezzare “Orfanzia” penso che i 15 o 16 anni vadano meglio 😉