Era un caldo pomeriggio di settembre quando, girovagando per Verona, ho notato un cartellone che pubblicizzava Maniac.
Armatomi di limonata alla rosa e popcorn l’ho divorato in meno di due giorni, anche se Maniac non è assolutamente una seria da binge watching.
Siamo tutti un po’ pazzi
La serie targata Netflix, scritta da Patrick Somerville e diretta da Cary Joji Fukunaga, altro non è che un remake dell’omonima serie norvegese prodotta nel 2015.
In una New York futuristica, dal retrogusto anni ’80, che riporta alla mente Ritorno al futuro e Stranger Things, si svolge un trial medico atto a sperimentare una cura contro ogni tipo di disturbo mentale.
Al centro della baia di Manhattan troneggia la nuovissima Statua della Extra Libertà, piccoli robot bazzicano per i marciapiedi raccogliendo cacca di cane e koala cyborg giocano a scacchi nei parchi cittadini.
Tra le cavie che decidono di partecipare a questa sperimentazione ci sono i due protagonisti della serie: Annie, interpretata da una bravissima e biondissima Emma Stone, e Owen, interpretato da un dimagrito e a tratti soporifero Johan Hill.
Lei una ragazza tossicodipendente e scontrosa che deve convivere con un terribile trauma, lui schizofrenico, malvisto dalla sua ricca famiglia e obbligato a testimoniare a favore del fratello macchiatosi di un grave crimine.
E la pillola va giù
Il trial medico condotto dalla Neberdine Pharmaceuticals and Biotech si svolge in un laboratorio dalle meravigliose tonalità pastello alla Wes Anderson.
Le cavie, guidate da un’intelligenza artificiale rosa di nome GRTA e sotto la supervisione dell’eccentrica Dottoressa Fujita e dei bizzarri dottori Muramoto e Mantleray, devono assumere tre pillole A, B, e C – simili alle anicette che mia nonna tiene in un barattolo di vetro – per porre fine a ogni sofferenza della psiche.
Dovranno affrontare un duro percorso psicologico e introspettivo che le porterà ad affrontare e sconfiggere i propri demoni interiori.
E qui inizia il vero trip: Annie e Owen rivivono prima il loro passato e poi, per uno strano gioco del destino informatico, si trovano a condividere e convivere nei loro viaggi mentali.
Si vengono così a creare universi paralleli che ricalcano le situazioni assurde che ognuno di noi vive nei propri sogni e tutti quei disagi che affliggono le persone con disturbi mentali.
Così malattie come schizofrenia, depressione, agorafobia e complesso di Edipo, che colpiscono tanto le cavie quanto i medici responsabili del trial, sono vissute in prima persona dallo stesso spettatore che, nel corso dei viaggi mentali, rimane sorpreso e stupito dalle stravaganti situazioni che si vengono a delineare in un susseguirsi di eventi random che sembrano esaurirsi senza alcun senso.
Emma promossa, Johan rimandato
Queste mini-storie, contenute all’interno del frame rappresentato dalla sperimentazione medica, sono state ideate come parodie non burlesche di vari generi cinematografici, dal fantasy ai film di spionaggio, passando per il gangster movie splatter alla Tarantino-Rodriguez.
Ed è proprio in queste scene bizzarre che viene messo in risalto lo straordinario talento di Emma Stone.
La giovane attrice statunitense è credibile sia quando veste i panni di Annie, sia quelli di un elfo alcolizzato, di una femme fatale in abito da sera o di un’infermiera cafona dai capelli cotonati.
Lo stesso non si può dire di Johan Hill.
Se lo sguardo spento, la voce pacata e la lentezza nei movimenti che lo caratterizzano sono perfetti per il ruolo dello schizofrenico apatico, mal si addicono alla gamma di personaggi che impersona nei trip della sua psiche. A eccezione dello strano diplomatico islandese dal divertente accento inglese che si rivela essere il personaggio più buffo dell’intera serie.
Tutte le pillole sono un po’ amare
Maniac ruota attorno al rapporto tra Annie e Owen, un’unione che lentamente si viene a costruire nel corso della sperimentazione, ma il finale risulta essere forzato.
La nascita di un’amicizia tra i due protagonisti era così necessaria?
Forse no, forse nella vita reale di questa New York futurista sarebbero dovuti rimanere degli estranei; ed è proprio il finale che risulta essere la parte meno convincente dell’intero progetto e la meno accattivante dal punto di vista della scrittura.
A ogni modo, se siete amanti delle serie psico-fantascientifiche, dei videogiochi 8 bit, delle ambientazioni ricche di dettagli degne del miglior profilo Instagram e fan di Orange Is the New Black – Selenis Leyva aka Gloria Mendoza appare in un piccolo cameo –, dovete assolutamente guardare Maniac.
Il mio consiglio è quello di concedervi del tempo.
Ogni singolo episodio deve essere guardato in “solitaria” per coglierne il senso spesso fuggente, capire appieno quello che è accaduto e sopravvivere ad alcune scene noiose che rallentano l’intera trama.
Voi Quattrocchi avete visto questa miniserie?
E la versione originale?
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