Nella mia storia di lettrice, ho trovato diversi tipi di libri: alcuni che non mi sono piaciuti e che sono rimasti sul mio comodino per un po’ finché ho avuto il coraggio di ammettere che non li avrei finiti, altri che mi hanno lasciata indifferente (e anche in quel caso difficilmente sono arrivata in fondo), altri ancora che mi hanno entusiasmato e di cui ho parlato qui su Quattrocchi (quelli di Marcello Simoni, di Danila Comastri Montanari, di Matteo Bortolotti, di Loriano Macchiavelli…).
Poi ci sono quelli che mi hanno travolta inaspettatamente. Sarà stato perché mi hanno trovata nel momento giusto? Perché mi hanno fatto immedesimare? In un certo senso potrei dire che mi sono piaciuti troppo, nel senso che mi hanno coinvolta tanto da non essere abbastanza lucida per recensirli! Francesca ha abbattuto uno di questi altarini scrivendo un bellissimo articolo sulla saga dell’Attraversaspecchi che io ho letto tra Dicembre e Gennaio.
Così ho deciso di rispolverare alcuni dei volumi che tempo fa mi hanno fatto quell’effetto…
Lo Hobbit di J. R. R. Tolkien
“E grazie!”, direte voi.
Lo so, sto scomodando un mostro sacro. Uno dei motivi per cui non me la sono mai sentita di scrivere pensieri a riguardo. Infatti la mia interpretazione dello Hobbit è sicuramente molto più emozionale che razionale.
Quando, da bambina, vidi per la prima volta la scena del consiglio di Elrond nel film sulla Compagnia dell’Anello al cinema durante la quale Frodo interrompe la discussione caotica dicendo: “Lo farò io! Porterò io l’anello a Mordor, solo non conosco la strada”… Ecco, quella è stata la prima volta in cui mi sono sentita uno hobbit (mettendo da parte le battute sull’altezza).
Appena uscita dall’Università ho cominciato a leggere Lo Hobbit proprio nel periodo in cui cominciavo il mio primo vero tirocinio all’interno di un museo e mentre prendevo l’autobus di mattina presto, non potevo fare a meno di sentirmi Bilbo Baggins che va all’avventura. Mentre facevo pausa pranzo in un ufficio in penombra sotto tetto, mi sembrava di trovarmi ad Erebor, braccata da Smaug.
Penso che la prima grande abilità di Tolkien sia stata quella di riuscire a rendere così reali e verosimili situazioni, pensieri e reazioni di un mondo Fantasy. O, meglio, a portare in un mondo fantastico le nostre emozioni.
The Tea Girl of Hummingbird Lane di Lisa See
Ho avuto il piacere di intervistare Lisa See per la mia tesi di laurea magistrale, perché il suo romanzo Fiore di Neve e il ventaglio segreto trattava l’argomento della mia tesi, il Nü Shu (la “scrittura delle donne”). È una donna di grande sensibilità e cultura, perciò quando è uscito questo suo nuovo romanzo non ho nemmeno aspettato di sapere se era prevista una traduzione italiana.
The Tea Girl of Hummingbird Lane è costruito esattamente come ciò di cui parla, gli alberi di tè Pu’er nel sud della Cina: dalle radici della generazione antica visceralmente ancorata alle tradizioni, attraverso un tronco che lotta per il proprio spazio, fino alle ultime foglie che si stagliano verso il cielo. Per me che adoro i personaggi imperfetti questo libro è stato una metamorfosi accompagnata, perché nessuna delle tre donne che compaiono è infallibile, ma ognuna di loro è convinta di agire per il meglio e quando trova la forza di opporsi al destino, è lì che la trama subisce una svolta. Una nonna levatrice che non può fare a meno di lasciare morire i bambini considerati aberrazioni, ma che non ha cuore di uccidere sua nipote nata fuori dal matrimonio. Una giovane madre che lascia il proprio villaggio per seguire il primo amore, finisce ai limiti della società e poi trova la forza di rialzare la testa e costruirsi un futuro nell’industria del tè passo dopo passo. Una bambina cresciuta in America che dopo essersi sentita diversa dagli altri tutta la vita, decide di seguire l’istinto e ricercare le proprie origini fino in Cina.
La prima trilogia degli Speciali di Ransom Riggs
Di questa saga ho avuto il coraggio di scrivere qualcosa in uno dei nostri Quattrocchi Pop, principalmente a proposito del fatto che il film di Tim Burton non mi ha entusiasmato e che le foto che compaiono sulle copertine sono vere foto d’epoca trovate dall’autore nei mercatini dell’antiquariato. Di recente sono usciti altri due volumi che continuano la storia e io ho letto il primo (o il quarto, nella continuità della saga), La Conferenza delle Ymbrine, e mi è sembrato scritto con uno spirito diverso, perciò mi limiterò ai primi tre.
Premetto che l’espressione stupita della bibliotecaria che mi ha visto ripresentarmi presso il suo punto vendita con aria famelica, alla disperata ricerca del terzo volume pochi giorni dopo aver preso il secondo, è un fiore metaforico che mi porto all’occhiello. Come nell’Attraversaspecchi, la cosa che si apprezza di più di questa serie è la crescita interiore dei personaggi, codificata attraverso l’immagine della scoperta dei propri poteri del protagonista Jacob Portman. Grazie a lui, che all’inizio sembra una nota stonata nel gruppo di ragazzini dai poteri straordinari, questi si trovano a dover uscire dalla “culla protetta” dell’anello temporale dove si nascondono, prendere in mano il proprio destino e scoprire il loro vero potenziale.
Ci ricorda qualcosa?