Domenica pomeriggio sono andata al cinema a vedere JOKER e mi ha davvero colpita: da una parte l’abilità di Joaquin Foenix nelle parti di Arthur Fleck che si rivela Joker, dall’altra una colonna sonora coinvolgente, azzeccata per ogni singola inquadratura.
Per te potrei essere l’ennesima voce che parla bene – benissimo! – di questo film, e posso capire i tuoi dubbi. Sono entrata nella sala con la stessa sensazione, quella di essermi esposta a commenti così positivi da trovare la storia banale.
Ti dirò, avevo perfino il timore di annoiarmi!
Così non è stato e vorrei condividere con te le parti che dal mio punto di vista hanno reso il film un capolavoro da godersi al cinema.
1. L’ambientazione ripercorre gli anni di Batman
Il personaggio di Batman è stato creato negli anni Trenta, e la versione fumetto pubblicata da DC Comics è nata a partire dagli anni Quaranta. Si tratta di un’opera davvero ricca, che ha segnato anche le generazioni successive adattandosi alle diverse epoche, e con il film JOKER vengono ripercorse una a una con citazioni eccezionali.
La colonna sonora di questo film è davvero spettacolare e vede protagonisti Jimmy Durante con Smile – diventato famoso come comico negli anni Quaranta/Cinquanta – e Fred Astaire con Slap that bass, artista poliedrico diventato famoso anche come ballerino e in seguito perfino come attore.
A questi nomi si aggiunge Frank Sinatra, conosciuto come The Voice: è sua l’interpretazione di That’s Life del 1966, così come Send in the clowns, pubblicata in un suo album nel 1973.
Frank Sinatra, come molti altri artisti del suo tempo, se la cavava molto bene anche nel ballo e alcuni passi di danza che Arthur Fleck/Joker fa, imitano lo stile tipico di quegli anni.
In JOKER vediamo anche un programma That’s Life, condotto da Murray Franklin – interpretato da Robert De Niro.
Si tratta di una citazione al programma avviato nel 1973, e tra i produttori c’era un certo Henry Murray.
Lo spettacolo prevedeva satira e intrattenimento leggero, adatto per le famiglie, cosa che in effetti viene rispettata anche nel film.
Gli anni Quaranta e Cinquanta li vediamo anche nel malcontento diffuso nella città di Gotham: le possibilità di lavoro sono poche, c’è discriminazione e i fondi sociali vengono tagliati.
Ed è in questa atmosfera che si rivela Joker.
2. Joker rivela una società marcia
Uno degli aspetti che mi ha sempre intrigato di questo cattivo – quando guardavo la versione cartoon – è il suo modo mostrarsi al mondo.
All’inizio percepivo il trucco sul viso, i capelli verdi e la risata acuta come “trucchi del mestiere” utili a non farsi beccare. Un modo innovativo che modifica i connotati del criminale rendendolo allo stesso tempo famoso.
Questo mi ha sempre fatto pensare che Joker fosse una maschera da potere togliere per sfuggire alla polizia e al mondo.
In realtà il bello di questo personaggio sta proprio nel suo sfruttare il concetto di maschera antico, quello secondo cui la maschera – o il trucco – rivela invece di nascondere.
Joker porta allo scoperto una società che rigetta il diverso, rinnega le persone in difficoltà e le intrappola in un circolo vizioso. Invece che riabilitare, sostenere i più deboli, li schiaccia ancora più in basso, togliendo loro qualsiasi possibilità di rivalsa.
Tutto questo viene messo in luce nel film attraverso una crescita di consapevolezza da parte del protagonista, visibile anche dalle inquadrature scelte.
All’inizio si vedono riprese dal basso verso l’altro, un modo per sottolineare quanto la vita risulti una salita, sempre più dura da affrontare.
Ci sono due scene in particolare che risultano essere un confronto perfetto tra il prima e il dopo: quando è Arthur Fleck a percorrere tre rampe di scale, lo vediamo piccolo, in lontananza. La salita è al culmine di una giornata difficile, una giornata come tante altre, in cui il suo stesso essere al mondo viene messo in discussione. Ma quando Arthur Fleck si riconosce a tutti gli effetti come Joker, le scale vengono percorse dall’alto verso il basso. Joker danza allegro su quei gradini, li salta a piè pari senza timore: si sente al mondo e inizia a viverlo.
Per quello che riguarda il rapporto tra volto e maschera ho trovato molto evocativa la scena in metropolitana.
Arthur è truccato da clown e attira l’attenzione di tre ragazzi. Sono loro a canticchiare la canzone Send in the clowns, che rende la scena angosciante.
Loro sono senza maschera, senza trucco, eppure spaventano molto più del clown che si trovano davanti.
Un’inversione di ruoli che annulla l’effetto horror affibbiato al clown, che nonostante la risata acuta trasmette tutto il suo disagio.
Un aspetto che ritrovo nei romanzi di Stephen King, in cui è l’uomo il fulcro principale della paura e non il mostro.
La questione del privilegio
Il tema portante di questo film è quello del privilegio, e lo si può vedere sotto forme diverse.
Il privilegio di essere ricchi e in salute. Il privilegio di essere amati e apprezzati.
Il privilegio di essere creduti, ascoltati, di sentirsi parte della società.
Sono tutte cose che a volte vengono date per scontate, come se appartenessero a tutti. O comunque per ottenerle serve impegno, il nostro impegno, e se non ci riusciamo siamo noi a non avere fatto abbastanza. Noi che non ci siamo impegnati per davvero.
Arthur Fleck ha subito abusi da bambino, accudisce la madre e cerca di guadagnarsi da vivere fai vendo il clown. È una persona onesta rifiutata da una società che non lo reputa all’altezza, che lo accusa delle condizioni in cui si trova.
La stessa società che taglia i fondi agli assistenti sociali, un servizio che gli consentiva di avere le medicine di cui aveva bisogno e una psicologa da cui poter andare.
Questo perché coloro che possiedono un privilegio sociale (come l’essere bianchi in una società razzista), invece che aiutare chi è in difficoltà, preferisce prendersi gioco di queste persone, isolarle e usarle come capro espiatorio.
Con la convinzione di essersi guadagnato tutto quello che possiedono (anche il colore della pelle, per restare sul tema del razzismo) e che vada difeso.
JOKER mostra l’umanità del cattivo
C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare in questa pellicola: l’umanità del cattivo.
Joker è prima di tutto una persona rifiutata dalla società, che cerca con tutte le sue forze di cavarsela.
Non è difficile capirlo, immedesimarsi nelle sue difficoltà.
Nel momento in cui subisce l’ennesima aggressione, mi sono ritrovata a pensare “difenditi, ammazzali”. Sì, l’ho pensato, perché era troppo, e mi sono bloccata davanti a questo pensiero.
C’era la sua vita in gioco, una vita che la società aveva già dichiarato di poco valore a monte.
Per quanto non siano giustificabili gli omicidi commessi, io ho capito questa persona.
Ho provato la sensazione di mettermi nei suoi panni, e non so se avrei retto.
Capire Joker mi ha fatto riflettere anche una cosa di parecchi anni fa.
Quando giocavo con mio fratello non riuscivo a concepire che a lui piacessero i cattivi: Joker e Venom sono solo un esempio.
Avevo associato questa cosa alla paura: credevo che il suo voler essere il cattivo gli permettesse di sentire la situazione sotto controllo. Era lui a incutere timore, era lui ad avere potere sugli altri, così da non essere vittima.
Mi sa che mio fratello la sapeva molto più lunga: i cattivi dei fumetti sono umani.
Non hanno alcun privilegio, e invece di essere aiutati vengono condannati ancora prima che commettano qualcosa.
Sono le prime vittime di un sistema corrotto.
Insomma, un film profondo che si distanzia molto dai film di supereroi a cui siamo abituati. Per fare un paragone, JOKER si avvicina molto di più alla drammaticità presente in Logan.
Quindi se sei in cerca di un film drammatico, carico d’emozione e coinvolgente, non ti resta che andare a vedere JOKER.
Io penso mi dedicherò alla lettura di Batman: The Killling Joke, graphic novel con cui il film ha più punti in comune. O così mi è stato detto…