Pensate come dev’essere vivere in un Paese vittima di una spietata dittatura di stampo sovietico. Ponetevi ora nei panni di un autore che invano tenta di lottare contro la spietata censura di regime, contraria a qualsiasi forma di satira o critica al potere centrale. Immaginate la rabbia che si accumula mentre a ogni vostra opera, romanzata o teatrale, viene negato ogni tipo di riconoscimento.
Il vostro sforzo di fantasia potrebbe portarvi a un risultato molto simile a Il Maestro e Margherita. E se non mi credete, che il diavolo vi porti!
Titolo originale: Il Maestro e Margherita (Мастер и Маргарита)
Autore: Michail Bulgakov
Anno: 1966 (nel 1967 in Italia)
Genere: Satira politica
Tre parole per descriverla: Russia sovietica, satira e censura
Normalmente, sarebbe opportuna una sinossi dell’opera per introdurre l’articolo. Ma in questo caso, credo sia preferibile offrire un quadro storico della vita dell’autore, Michail Bulgakov.
Senza volere annoiare coloro che non sono appassionati di Storia, Bulgakov visse negli anni della Russia di Stalin. Un brutto periodo per un autore che non solo non aderiva politicamente agli “ideali” della Rivoluzione (Bulgakov militò nella Guardia Bianca e lo stesso Il Maestro e Margherita lascia chiaramente intendere la sua fede religiosa, così osteggiata in quegli anni), ma soprattutto non poteva fare a meno di comporre opere satiriche sulla società bolscevica, sui suoi paradossi e le sue ipocrisie. Questo gli procurò molti conflitti con la censura del partito comunista e con gli intellettuali di regime, i quali non perdevano mai occasione di affossare il suo lavoro… se non di insultarlo apertamente.
Questa tragica situazione si protrasse per tutta la vita di Bulgakov: se nei suoi primi anni di lavoro l’autore aveva ancora la forza di lottare (inutilmente) contro l’imposizione della dittatura, negli ultimi anni questa forza scomparve, lasciando solo il posto a un fortissimo risentimento verso il suo Paese e i suoi concittadini.
In quegli stessi anni, Bulgakov scrisse Il maestro e Margherita, un’opera intrisa di tutta la stanca sconfitta dell’autore, così come del suo odio.
Meglio regnare a Mosca che servire in Paradiso.
In una Russia comunista, perbenista e assolutamente ipocrita, l’ordinaria quotidianità di Mosca viene sconvolta dall’arrivo di Woland, un curioso straniero che si definisce “esperto di magia nera”, assistito da un seguito che comprende un maestro di cappella, un uomo piuttosto rude e… un gatto parlante. Questo bizzarro gruppetto, grazie all’utilizzo di prodigiosi trucchi magici, seminerà un grottesco caos per la città, mettendo a nudo la povertà morale che imperversa tra i cittadini.
Solo proseguendo nella lettura troveremo la conferma di quelli che sono i nostri dubbi sulla reale identità di Woland: nientemeno che Satana in persona, giunto a Mosca per punire i malvagi, ma anche aiutare chi si trova in difficoltà. E nessuno è più in difficoltà della bella Margherita, follemente innamorata del suo Maestro, un povero scrittore la cui grande opera sulla vita di Ponzio Pilato è stata stroncata crudelmente dalla censura sovietica.
Vi ricorda qualcuno? Dovrebbe.
Woland/Satana diventa così lo strumento con il quale il Maestro, e attraverso di lui lo stesso Bulgakov, ottiene finalmente giustizia per gli infiniti tormenti patiti.
Grazie agli scherzi dell’infernale combriccola, l’élite culturale di Mosca verrà derisa, incarcerata, accusata di follia e, in certi casi, addirittura decapitata!
Quella di Bulgakov è una satira amara, amarissima, ma proprio per questo capace di immergerci in un periodo storico che, di solito, ritroviamo solo sui libri di storia, per loro natura più freddi e inespressivi.
Infatti, se anche gli episodi che si susseguono nei vari capitoli possono anche farci sorridere, i toni e le parole che lo scrittore usa grondano di un veleno che si è accumulato per molti anni… e credetemi, non serve leggere la sua biografia per comprenderlo.
Tante e così appassionate sono le pagine che Bulgakov dedica a tormentare i poeti e commediografi russi da fare quasi impressione.
Una sensazione ulteriormente rafforzata se, come me, avrete voglia di leggere la versione del romanzo integrale comprensiva delle parti che, all’epoca, la censura sovietica aveva eliminato. In certi casi l’intento è evidente: evitare qualsivoglia forma di critica o riflessione sulla condizione della società russa.
Ma in altri casi non è così. La censura ha rimosso dialoghi con vaghi riferimenti religiosi, troppo allusivi o addirittura che fanno riferimento agli stili di vita degli altri Paesi occidentali. È in queste censure che si comprende quanto Bulgakov abbia ragione nel descriverci una Russia afflitta da uomini “di cultura” e in realtà miopi, ignoranti e semplicemente ipocriti.
Alla fine, ci verrà istintivo arrabbiarci assieme a lui e provare empatia per l’amara sorte dei suoi protagonisti, il Maestro e Margherita. Particolarmente evocativa, a proposito, la parte in cui perfino Woland/Satana, nell’osservare Mosca da lontano, non riesce a trattenersi dal considerarla come una specie di Inferno, popolata anch’essa da diavoli e tormentati in egual misura.
Non voglio però dipingere il romanzo come un insieme di pagine intrise di un veleno rancoroso. È vero che da esso traspaiono in modo evidente le vicende dell’autore, ma è altrettanto vero che vi sono dialoghi divertenti tra i protagonisti e il quartetto diabolico, nonché capitoli molto belli e che nulla hanno a che vedere con la feroce satira.
Mi riferisco al romanzo dentro al romanzo, l’opera che è costata al Maestro e alla sua amata così tanto: la storia della vita di Ponzio Pilato. Una figura storica e religiosa forse un po’ trascurata, ma della quale Bulgakov ci dà una versione suggestiva e tragica, ma non senza una nota finale di speranza.
Forse la stessa che anche lui sperava di ricevere, se non in vita dopo la morte. Com’è effettivamente stato: Bulgakov ha avuto la sua rivincita ed oggi è considerato uno dei più importanti esponenti della letteratura russa.