Ariel sognava di passeggiare sulla terra ferma, di sdraiarsi sotto al sole. Collezionava oggetti trovati nei galeoni affondati e come la maggior parte delle adolescenti litigava con suo padre.
Io con lei sognavo di vivere nell’oceano, nelle profondità più scure per ascoltare il canto delle balene.
Insieme a Belle, Ariel mi ha fatto sognare e cantare per ore.
È stata una delle eroine che più ho amato: mi piaceva la sua intraprendenza, la sua curiosità, il suo sentirsi un pesce fuor d’acqua.
Io mi sentivo così, mi sentivo in trappola e come a molte altre adolescenti mi sono sentita dire “né carne né pesce”.
Interessante scelta di parole, in effetti.
Quando sono usciti i primi rumour sul live action La Sirenetta, ho iniziato a scalpitare.
Il classico Disney è uscito nel 1989, l’anno della mia nascita, e poter vedere i personaggi in una forma più reale mi ha messo subito entusiasmo.
Poi hanno annunciato che i panni di Ariel li avrebbe indossati Halle Bailey, e qui si è scatenato il putiferio.
Io stessa come prima reazione ho sentito un moto di delusione: dov’era l’Ariel della mia infanzia, la sedicenne in cui mi riconoscevo?
E questo mi ha fatto riflettere: qual è il problema?
La nostalgia e il canone Disney
Ho guardato Halle Bailey e ho pensato che con la Ariel del classico Disney non ci azzeccasse nulla.
Un fattore puramente estetico, ovviamente, perché non avendo il live action a disposizione non potevo certo esprimere un parere più mirato.
Una reazione che hanno avuto in molti sul web e che di primo impatto definirei come nostalgica.
E quando si tratta di nostalgia la Disney la sa davvero lunga.
Tutti questi reboot hanno proprio l’obiettivo di ripotare al cinema le persone come me, cresciute con la Disney, e allo stesso tempo invogliare le generazioni che si sono perse i classici tra gli anni Ottanta e Novanta.
Pensate a tutti quelli che non hanno visto Il Re Leone: può sembrare assurdo, ma qualcuno che si è perso questo premio Oscar c’è.
E dopo questa estate ne sentiremo di cotte e di crude: team classico o team remake?
Sembra un po’ la storia della Coca Cola in Stranger Thinks, dove Lucas ritiene che per quanto il classico abbia il suo fascino, “nuovo è sempre meglio”.
Ma perché la nostalgia dovrebbe portare a petizioni per la scelta di un nuovo cast?
Una moda che prende sempre più piede e che ne ha dell’assurdo: veramente vogliamo dire agli esperti chi scegliere e come girare un film?
Dal mio punto di vista penso si tratti della creazione di un canone Disney.
Con i suoi lungometraggi, questa casa di produzione ha segnato l’infanzia di ognuno di noi, offrendo spunti di riflessione e personaggi in cui immedesimarci.
E se da bambini eravamo ben disposti ad andare oltre l’aspetto estetico, da grandi abbiamo perso questa elasticità: Ariel è bianca, coi capelli rossi e lisci, e non si cambia!
Da questo canone Disney, creato più che altro da noi spettatori, il web è arrivato a produrre contenuti che del nostalgico non avevano più nulla, fino ad arrivare al razzismo.
Com’è successo?
Ma soprattutto: ha senso tutto questo accanimento?
Ariel deve rispettare i canoni originali: ma quali?
C’è chi sostiene la propria teoria affermando che Ariel, la Sirenetta, è danese e di conseguenza di pelle bianca.
Un concetto che già di per sé riporta un errore non da poco, e che si rivela comunque inconsistente, perché chi vuole Ariel bianca la vuole anche rossa di capelli e con gli occhi azzurri.
Ma dov’è questo errore?
Il fatto che Ariel sia danese non le impedisce di essere di colore: una cosa è la nazionalità (danese), un’altra l’etnia.
Un concetto contro cui i più tranquilli controbattono tramite l’autore: Hans Christian Andersen era uno scrittore del 1800, e nelle sue storie ha inserito i canoni estetici del suo tempo.
Molto vero, come è vero che la Disney non li ha rispettati: nella favola scritta, la sirenetta è bionda con gli occhi color acquamarina. Renderla rossa era sicuramente più d’effetto, e soprattutto c’erano già abbastanza principesse bionde, non trovi?
Oltre ai canoni estetici, la Disney ha fatto di testa sua come al solito, e per fortuna aggiungerei, perché Andersen non era famoso per i lieto fine.
Nella storia originale Ariel si dissolve nel mare sotto forma di spuma, e questo succede perché si rifiuta di uccidere il principe.
Sì, uccidere, non baciare. Il romanticismo di Andersen era di tutt’altra tipologia.
A tutte queste critiche si aggiunge un pubblico meno tranquillo, che cerca di fare leva su altre principesse Disney.
Ariel con la pelle nera è come una Pocahontas con la pelle bianca?
La scelta di portare sul grande schermo una sirenetta di etnia non caucasica ha indignato il pubblico a tal punto da tirare in ballo altre principesse Disney.
Parlo di Jasmine, Mulan, Pocahontas e Tiana, le cui storie sono strettamente legate alla loro etnia al contrario di Ariel.
Come dicevo, la Disney ha messo mano a ogni singola storia, rendendole adatte al pubblico di bambini del XX secolo.
Un processo sotto cui erano già passate le fiabe e le favole, un tempo più spaventose e oscure.
Modifiche fatte anche per raccontare la storia di Pocahontas, esistita realmente, o di Mulan, personaggio delle leggende cinesi.
Protagoniste che però, rispetto ad Aurora o Cenerentola, devono la loro storia proprio all’etnia e di conseguenza non possono diventare caucasiche.
Questo perché si perderebbe il senso della storia stessa: nel caso di Pocahontas si arriverebbe a punire ulteriormente un popolo sterminato dai coloni inglesi. Mulan, invece, racconta la forza di una ragazza in una Cina antica, dove l’onore di essere donna consisteva esclusivamente nell’essere data in sposa.
Ed è proprio da questo genere di messaggi che sono nati meme e messaggi irrispettosi, fino a toccare il razzismo.
Motivo in più, per me, per appoggiare la scelta della Disney.
Perché sono contenta che Halle Bailey sia Ariel, la Sirenetta?
Nei secoli l’essere umano è migrato ovunque, stabilendosi in terre prima sconosciute. Spesso cacciando e sfruttando le popolazioni native, altre mischiandoci a loro.
Per qualcuno siamo stati il diverso per molto tempo, per secoli abbiamo parlato di razze umane, sminuendo le minoranze, e ancora oggi fatichiamo ad accettare chi è diverso dai canoni più diffusi.
La pop culture offre l’opportunità di abbattere queste barriere, rendendo noto che essere bianchi non è l’unico modo di essere.
Quindi posso dire che sono contenta che Halle Bailey vestirà i panni di Ariel, perché:
- ogni bambina ha diritto di riconoscersi nei personaggi Disney, come io mi riconoscevo in Belle per i capelli castani e l’amore per i libri;
- Halle Bailey ha una voce davvero meravigliosa, uno sguardo e un sorriso dolci. Sono curiosa di vederla recitare un personaggio fantasioso e simpatico come Ariel;
- nel classico Disney non c’è nessun riferimento diretto alla Danimarca e addirittura compaiono elementi di terre completamente diverse. Da Flounder, disegnato come un pesce di razza Manini che si trova alle Maldive, a Sebastian con accento giamaicano. Per non parlare della presenza dei Fenicotteri, che in Danimarca li trovi solo allo zoo.
Insomma, sono pronta a questa nuova versione della Sirenetta.
E nel caso volessi sentire altri punti di vista sul tema, ti consiglio:
- Giulia Blasi, che nel suo articolo per Esquire affronta il tema del razzismo;
- Rachele Agostini, che affronta su Bossy il problema della rabbia nei confronti di questa nuova Ariel;
- Il Gian, esperto Disney con il suo video dedicato;
- Giulia Ebe Cariniel, che mostra tutte le differenze tra la storia scritta da Andersen e la versione Disney.
Il problema è che così non ci saranno più principesse coi capelli rossi. Disney ha scelto un’attrice nera per far si che le bambine con la pelle nera potessero identificarsi in una principessa disney. Peccato che la principessa nera c’è già ed è Tiana, mentre Ariel è l’unica coi capelli rossi e rimuoverla potrebbe essere un duro colpo per tutte le bambine che vengono prese in giro e chiamate pel di carota, o a cui viene ancora detto che i capelli rossi sono i capelli del demonio (non esagero, al sud si dice ancora). Si andrebbe ad eliminare una minoranza solo perché in questo momento è più importante far contenti quelli che si battono per i diritti dei neri. Peccato che nessuno si batterà mai per i diritti dei rossi, o per i diritti ad esempio dei mancini. non c’è sensibilità in merito, eppure sono comunque minoranze che vengono trattate con diffidenza.
Ciao Res, scusa se ti rispondo solo ora, non mi era arrivata la notifica del tuo commento!
Hai ragione a dire che bisogna tenere conto di certe minoranze e fare notare le loro problematiche. Il fatto è che facendo una Ariel di colore non si va a rimuoverla, perché la Ariel Disney, così come Merida (protagonista di “Ribelle”) continueranno a esistere. La stessa Anna di Forzen ha i capelli che tendono al rosso e se andiamo nei cartoni Disney c’è Kim Possible.
Al momento mostrare un classico Disney in una luce differente è importante, perché va a sradicare degli atteggiamenti molto diffusi. Purtroppo chi ha la pelle nera, ancora oggi, si ritrova discriminato a tal punto da venire ucciso con una facilità tale che dovrebbe farci male, mentre al contrario ancora troppe persone prendono in giro tramite i social (un mezzo molto potente) le persone di colore che muoiono.
Il fatto di appoggiare una causa, non va a ledere o a eliminare le altre. Diciamo che la Disney ha parecchi anni da recuperare rispetto ad altre realtà, un esempio è il cortometraggio a tema LGBTQ+, che lo hanno fatto uscire come se fosse qualcosa di controcorrente, ma in realtà avrebbe dovuto esserci anni fa. Così come la presenza di persone non caucasiche avrebbe dovuto essere da tempo più rilevante.
Quello che spero è che la Disney nel tempo riesca a rappresentare tutte le minoranze e a normalizzare sempre di più le diversità, così da creare punti di riferimento per tutte le bambine.