Buongiorno quattrocchi! Dopo più di un mese dall’uscita di La Bella e la Bestia e di articoli sul personaggio di LeTont, ecco che mi butto nella mischia per dare forma alle mie riflessioni.
In molti non ci volevano credere, altri si sono stupiti della reazione da parte della comunità LGBT, che insieme ad altri ancora hanno definito l’omosessualità di LeTont come una scelta pessima e offensiva.
Nel caso non lo sapessi, perché magari hai preferito altre proiezioni, nel live action La Bella e la Bestia, il galoppino di Gaston – LeTont – non è semplicemente affascinato dal suo aitante amico come si crede all’inizio, ma sembra proprio esserne innamorato.
Si tratta di un aspetto da non sottovalutare sotto molti punti di vista, che oggi vorrei vedere insieme a te.
Disney e la questione della diversità
La Disney ha rappresentato il diverso in più di un’occasione, cercando di mettere in chiaro che diverso è bello.
In Pocahontas (1995) ci viene narrato un amore difficile e all’apparenza impossibile, perché a essere coinvolti sono l’uomo civilizzato e la donna selvaggia legata alla natura. In La Sirenetta, Ariel si innamora di un umano, che a sentire il possente Tritone non può che essere crudele e assassino.
La figura della donna, di solito definita sesso debole, ha sempre dimostrato tutto il contrario, prendendo in mano le redini del suo destino e mostrando come amore e gentilezza siano sinonimo di forza – Mulan ne è un esempio lampante.
Un messaggio veicolato fin troppo spesso da personaggi bianchi, magri e di spiccata origine caucasica. Insomma figure che rispettavano i canoni imposti dalla società, quindi sì, diciamo che ci hanno provato.
Ecco perché ho sempre pensato che ci fosse solo da aspettare un po’, perché le carte in tavola c’erano già: con il nuovo millennio avrebbero introdotti anche il tema dell’omosessualità.
Questione di target
Tra i vari commenti e articoli, Bossy si è proprio chiesto: Serviva davvero un personaggio Disney Gay?
E la mia risposta è no, non serve un personaggio gay, come non serve che Belle improvvisi la lavatrice (scena tra l’altro che ho apprezzato molto) o che nella corte del Principe, in Francia nel XVIII, ci fossero ospiti afro-americani.
Ma si tratta di cose utili?
Per me sì, perché penso sia tutta questione di target.
Nel lungometraggio l’inventore, un po’ impacciato, tenero e purtroppo ritenuto folle, è Maurice: padre rimasto vedevo, della cui moglie si parla solo nel live action. Qui veniamo a scoprire dei dolori della peste e della necessità di allontanarsi da Parigi e rifugiarsi in un luogo sereno. Serviva ai fini della trama? Certo che no, il lungometraggio ce lo siamo goduti lo stesso, ma è stato utile per le nuove generazioni scoprire che ci sono eventi tragici nella storia dell’umanità. Eventi che ogni persona si trova ad affrontare nel quotidiano.
Allo stesso modo vedere una Belle inventrice oltre che intraprendente (di questo ho già parlato in #GiveElsaaGirlfriend – La donna indipendente) e un LeTont omosessuale, non stereotipato (pensate se avessero cambiato le carte in tavola e scelto Lumière), sono elementi utili, perché i Disney, film o lungometraggi, sono prima di tutto rivolti ai bambini.
Target svelato e outing mancante
Mostrare realtà diverse ai piccoli spettatori, oltretutto non solo in forma di cartoon ma con persone vere, è un buon modo per fare accettare qualcosa che fino a oggi è stato discriminato.
Nel film, durante la battaglia al castello, c’è una scena simpatica ma carica di importanza: l’armadio di Belle arriva e lancia vestiti contro tutti, in particolare colpisce tre ragazzi vestendoli da capo a piedi come dame impeccabili, con tanto di trucco. Se due se la danno a gambe levate con tanto di imbarazzo, il terzo gongola felice tra pizzi e merletti, fa un inchino e con eleganza si allontana.
Serviva? No, ma è utile. Esattamente come l’outing mancante (di questo ne ho parlato anche in #GiveElsaaGirlfriend – C’era una volta) di LeTont, che da personaggio cattivo diventa buono (un riscatto degno di nota) e al ballo finale lo si vede danzare con un ragazzo.
La trovo una forma di emancipazione adatta per il pubblico a cui è rivolto il contenuto.
Sono anche consapevole del fatto che la Disney avrebbe potuto fare di più e meglio: avrebbe potuto scegliere di presentare al cinema il primo personaggio gay senza che fosse un cattivo e senza che si chiamasse Tonto.
Così come avrebbe potuto dare più spessore alla sua emancipazione e a quanto fosse sbagliato seguire un maschilista come Gaston.
Aspetti a cui non intendo associare il pessimo “poteva andare peggio, perché significherebbe scusare questa scelta.
In linea generale, per quanto ritenga utili queste prime raffigurazioni, ammetto che la Disney l’ha toccata piano.
Ha immerso il primo dito nel mare gelato e ora mi aspetto molto di più.
Mi aspetto una crescita, personaggi con cui poter dare spazio alla diversità e di conseguenza che possano rappresentare un numero sempre maggiore di pubblico.
Del principe che ne pensate? Anche le vostre aspettative sono state distrutte nel momento della trasformazione? Fatemelo sapere in un commento o sui social, taggando Parola di Quattrocchi!
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