È successo già da qualche giorno, eppure la notizia continua ad echeggiare sul web come le ultime note di un concerto epico: Chester Bennington, il cantante dei Linkin Park, si è tolto la vita. Da un’infanzia sofferta a causa di abusi, dalla lotta alla dipendenza da alcool e droga, dall’impegno per realizzare una carriera nella musica sono scaturite le note che lo hanno reso famoso. Poi, lo scorso maggio, la morte del collega e caro amico Chris Cornell, il cantante dei Soundgarden che, a sua volta, si è suicidato.
Le voci che si sono levate di conseguenza sono state innumerevoli: quelli che hanno espresso sincero cordoglio e quelli che si sono sentiti in dovere di biasimare il gesto di Chester senza, spero, essersi mai trovati in una simile condizione psicofisica (…sorvoliamo!). Ed io, ora, non pretendo certo di scrivere parole migliori di chi ha seguito i Linkin Park più a lungo e più a fondo, ma so cosa significa perdere il proprio mito.
Leggendo i commenti scritti sui social dai miei amici, dalle pagine dedicate alla musica Rock e Metal, e nelle conversazioni, ho notato che il pensiero che più spesso compariva era: “se ne va un pezzo della mia adolescenza”. Penso sia questo il motivo principale per cui la notizia ha colpito così tanto e continua a lasciare una scia di amarezza: oltre al fatto che, dal punto di vista musicale, i Linkin Park sono entrati a far parte della storia del Rock, tanti della mia generazione si sono riconosciuti nei loro testi. La loro era la musica degli arrabbiati. Chi non poteva sopportare più la pressione delle aspettative altrui ascoltava Numb, chi non si sentiva considerato poteva gridare “Shut up when I’m talking to you!” con One step closer, e non c’erano note migliori di quelle di Leave out all the rest per accompagnare un momento di malinconia. C’era in classe chi poteva esserci antipatico, ma sui Linkin Park si andava sempre d’accordo.
Un’ultima ragione per cui la notizia della scomparsa di un idolo come Chester Bennington ci cade addosso all’improvviso e pesa così tanto, è che figure come la sua sembra che ci debbano accompagnare per sempre, ci sembrano immortali: il fatto è che lo sono. Con noi, i loro fans.
Siamo noi che lo rendiamo tale tutte le volte che ascoltiamo ancora una canzone dei Linkin Park.
Anche nel mio caso i Linkin Park mi riportano ad una fase della mia vita che ricordo con grandissimo piacere e nostalgia. Non esisteva itunes, quindi se volevi ascoltare una canzone dovevi andare ad un negozio di dischi e comprarti il singolo al costo di euro 6. Tra la montagna di singoli che ho comprato in quegli anni, “In the end” dei Linkin Park è stato senza dubbio uno di quelli che ho messo più spesso nel discman. La mettevo ogni volta che avevo bisogno di un po’ di carica, perché l’energia e la potenza che c’erano nella voce di Chester Bennington erano trascinanti come non mai. E’ un vero peccato pensare che quell’energia e quella potenza si erano esaurite così presto. Ma in fondo non sono affatto esaurite, anzi non si esauriranno mai, perché la musica dei Linkin Park non smetterà mai di venire ascoltata.
I dischi e le cassette che riavvolgevi con l’aiuto di una matita!
Ora in auto non ci sono nemmeno più i lettori CD, si usa direttamente la chiavetta…
Bello poter ricordare anche così i cantanti e i gruppi che ci hanno accompagnato negli anni 😉
Ancora di più sapere di poter contare ancora su di loro, anche se non ci sono più.
Parole sante! Colgo l’occasione per consigliarti questo splendido film: https://wwayne.wordpress.com/2017/09/10/il-talento-di-mr-spacey/. Per noi amanti della musica è davvero imperdibile. Grazie per la risposta! 🙂
Grazie mille a te! Ora corro a leggere il tuo articolo ^^