La guerra tra libro e trasposizione cinematografica non avrà mai fine.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, libro e film – o serie tv – non sono acerrimi nemici, ma amici con benefici.
L’adattamento su pellicola, in un mondo in cui la televisione e le piattaforme di streaming sono tra le forme di svago più diffuse, porta a un aumento delle vendite del libro da cui l’adattamento stesso è tratto; e se tra la pubblicazione del libro e la trasposizione passano alcuni anni, ecco che il successo è (quasi sempre) assicurato.
Molti, però, sono i casi un cui il film lascia un senso di insoddisfazione nei lettori.
Scene tagliate, personaggi eliminati o finali riadattati sono gli incubi peggiori per i lettori più accaniti, che provano un amore viscerale nei confronti del libro.
Abbiamo sempre vissuto nel castello è uno di quei casi in cui la battaglia in questa infinita guerra viene vinta dal libro; e in questo Recensendo ti spiego il motivo.
Abbiamo sempre vissuto nel castello, il romanzo
Abbiamo sempre vissuto nel castello è uno dei miei libri del cuore.
L’ho letto lo scorso ottobre durante una breve vacanza a Londra: la prima metà l’ho divorata nel viaggio in aereo, l’altra mentre mi recavo in treno a Brighton.
Il romanzo scritto nel 1962 da Shirley Jackson, autrice dell’Incubo di Hill House, mi ha stregato fin dall’incipit, il più bello che abbia mai letto:
Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della mia famiglia sono tutti morti.
S. Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello, Milano, Adelphi, 2009, p. 9.
Pagine all’arsenico
Il lettore, fin dalle prime pagine, viene condotto da Merricat – è così che Constance chiama la sorella Mary Katherine – nelle stanze dell’abitazione dei Blackwood, una villa immersa in un giardino impenetrabile in cui le due sorelle vivono, isolate dal mondo, assieme allo zio Julian e al gatto Jonas.
L’isolamento a cui i protagonisti sono costretti è dovuto alla stigmatizzazione sociale conseguita a un omicidio avvenuto all’interno del castello.
Gli altri componenti della famiglia Blackwood – i genitori e il fratello minore di Mary Katherine e Constance e la moglie di Julian –, infatti, sono morti per avvelenamento da arsenico; il veleno, comprato per uccidere dei ratti, è stato messo nello zucchero con cui i defunti hanno cosparso i mirtilli serviti alla loro ultima cena.
La vita dei Blackwood è scandita da una rigida routine.
Merricat è la sola a recarsi in paese per svolgere le commissioni affidatale dalla sorella, affrontando gli scherni e le derisioni degli abitanti della cittadina; la gelosia che i membri del paese nutrivano nei confronti dei Blackwood, dovuta al prestigio della famiglia, si è trasformata in vero e proprio odio.
La sorella Constance, invece, ritenuta la colpevole dell’omicidio, non lascia la casa dalla sera del tragico fatto, recandosi solo nell’orto per raccogliere ciò che vi coltiva.
Lo zio Julian, costretto su una sedia a rotelle, trascorre le sue giornate scrivendo una biografia dell’ultimo giorno vissuto dai defunti.
L’ordinaria esistenza dei Blackwood viene stravolta dall’arrivo del cugino Charles, un giovane carismatico il cui intento è quello di impadronirsi della fortuna ereditata dalle due sorelle.
La presenza di Charles porta Constance e Merricat a mettere in discussione il loro legame: Constance, dopo sei anni dalla morte dei familiari, riesce a fidarsi di un estraneo e accettarlo come parte del suo mondo ristretto; Merricat, la minore, invece fa il possibile per obbligare lo sgradito ospite a lasciare il castello, arrivando persino ad appiccare un incendio nella camera da letto in cui il cugino alloggia.
L’incendio ha un effetto devastante ma purificatore sul destino della famiglia Blackwood, ripristinando gli equilibri alterati e rivelando verità nascoste.
Gotico contemporaneo
L’atmosfera gotica che contraddistingue la produzione letteraria di Shirley Jackson è palpabile sin dalle prime righe di Abbiamo sempre vissuto nel castello e accompagna il lettore fino alla scoperta della verità che si cela tra le mura del maniero.
Non ci sono colpi di scena eclatanti o immagini violente, eppure dalle pagine traspare una malinconia, legata alla psiche dei personaggi, che porta a provare un senso di profonda empatia e vicinanza nei confronti dei Blackwood, in particolare di Merricat che appare la componente più fragile della famiglia e colei che è maggiormente esposta alle angherie della comunità.
I bambini sono soliti deriderla con una filastrocca che recita:
Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni.
S. Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello, Milano, Adelphi, 2009, p. 27.
Fossi matta, sorellina, se vengo m’avveleni.
Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?
In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire!
L’autrice non fa riferimento in modo esplicito ai disturbi che affliggono le due sorelle e lo zio, ma il segno lasciato dalla morte dei familiari affiora con il procedere della lettura.
Merricat, nonostante i suoi diciott’anni, è intrappolata in uno stato infantile, come se dal giorno dell’omicidio non fosse trascorso che qualche minuto.
Inoltre, sembra soffrire di una sorta di disturbo ossessivo compulsivo: con cadenza regolare sotterra nel giardino oggetti che etichetta come amuleti protettivi, recita formule magiche per allontanare dalla villa le influenze maligne e ispeziona ogni angolo della proprietà per assicurarsi che nessuno possa intrufolarvisi.
L’agorafobia e l’ansia sociale che Constance ha sviluppato dopo la notte dell’omicidio la costringono a una vita di reclusione che si svolge tra le stanze della villa, in particolare la cucina, e la porzione di giardino nelle immediate vicinanze del castello.
Per Constance, l’unico contatto con il mondo esterno, prima dell’arrivo di Charles, è Helen Clarke, un’amica della madre che le fa visita settimanalmente.
Julian Blackwood, rimasto invalido a causa dell’arsenico, soffre di amnesia e rivive in continuazione, attraverso le pagine del libro che scrive e i propri ricordi annebbiati, la notte in cui i suoi cari hanno perso la vita.
Voto: 🤓🤓🤓🤓🤓
Autrice: Shirley Jackson
Casa editrice: Adelphi
Pagine: 182
Mistero al castello Blackwood, il film
In Italia abbiamo una tradizione ben radica: storpiare i titoli originali dei film con traduzioni fantasiose.
E Abbiamo sempre vissuto nel castello, che si è magicamente trasformato in Mistero al castello Blackwood, non sfugge a questa moda.
Il film, diretto da Stacie Passon, è disponibile su PrimeVideo.
Fatta eccezione per un paio di elementi nella sceneggiatura, il risultato è più che buono: le ambientazioni sono curate, la fotografia aiuta a evidenziare i momenti di maggiore tensione e i costumi, in particolare quelli di Constance, sono splendidi.
Taissa Farmiga è perfetta nel ruolo di Merricat.
Con i suoi occhi scuri e l’andamento isterico e ingobbito, è riuscita a portare sullo schermo la stessa Merricat che avevo immaginato leggendo il romanzo: una ragazza schiva e diffidente che cerca rifugio nella fantasia.
Al contrario, Constance, interpretata da Alexandra Daddario, risulta essere meno centrata.
Sì, nel romanzo appare come una giovane ingenua e facilmente manipolabile, ma nel film questo aspetto è esagerato, soprattutto nel suo rapporto con Charles di cui pare innamorarsi dal primo istante.
Questo è il primo elemento che non mi ha soddisfatto del tutto.
Il secondo elemento, ben più rilevante, riguarda invece il finale, che nella trasposizione su pellicola è stato completamente stravolto – e qui devo fare uno spoiler.
In seguito all’incendio, Charles fugge e fa ritorno dai Blackwood solo dopo qualche giorno.
Mentre nel romanzo le due sorelle lo ignorano finché lui, indispettito, risale in macchina uscendo definitivamente di scena, nel film irrompe nella casa, aggredisce Constance ma viene ammazzato da Merricat.
Questo cambiamento nella trama influisce sulla figura di Merricat che viene percepita come una ragazza violenta, aspetto che nel romanzo non traspare in alcun modo.
La conclusione del libro è perfetta: il lettore scopre chi ha avvelenato i Blackwood e la vita delle due sorelle prosegue felice sulla luna, il luogo in cui Merricat è solita rifugiarsi.
Per quale motivo è stata modificata? Non me lo so spiegare.
Voto: 🤓🤓🤓🤓😶
Durata: 90′
Casa di produzione: Further Films
Regia: Stacie Passon
Cast: Taissa Farmiga, Alexandra Daddario, Crispin Glover, Sebastian Stan
Quattrocchi, tu hai letto il romanzo o visto il film?
Se non l’hai fatto, devi rimediare!