Buongiorno Quattrocchi!
Il mese scorso mio fratello ha compiuto 25 anni, è arrivato al suo primo quarto di secolo.
Una tappa importante che ho pensato di festeggiare contattando una delle sue autrici preferite: Miki Monticelli, che ha pubblicato con Piemme la saga La scacchiera nera.
Ingegnera elettronica (ti suona male? Solo perché non ci siamo abituati. Ne parla anche la crusca) e scrittrice di young adult prolifica e con nuove pubblicazioni in arrivo!
Per questo e per i miti che sfata in questa intervista, #leimeritaspazio.
Per tutto il liceo ho sognato di diventare scrittrice di romanzi fantasy.
Amavo il genere e volevo contribuire!
Com’è esserlo per davvero?
Be’, suppongo di non averci mai pensato in questi termini.
In buona parte per me scrivere è una cosa naturale e non ho mai considerato di ‘contribuire’ a un intero genere… ho solo una storia che vuole essere raccontata.
In questo senso è appassionante, una partita che non sai se vincerai o perderai fino alla fine, ma che richiede comunque un immenso lavoro.
Perché se l’avventura è dei personaggi e si dipana attraverso i mondi e le alternative possibili per ogni storia, è anche di chi la racconta: un viaggio che insegna sempre qualcosa di diverso.
Come mai hai scelto il genere fantasy e la narrativa per ragazzi?
Ogni storia ha il suo miglior ambito di riuscita, credo.
Di certo il mio amore per questi generi parla da solo, ma amo anche la fantascienza, lo storico, i gialli e i thriller o le spy-story e spesso cerco di mescolarli in modo personale. Vero è che troppo spesso in Italia, fantasy è sinonimo di ‘ragazzi’ o ‘bambini’, il che è molto limitante nel presentare le proprie idee, oltre che un vero peccato.
Quello ‘fantasy’ è un genere molto più ampio e sperimentale!
Più in generale implica un modo aperto di vedere il mondo, di affrontare questioni eterne attraverso paesaggi e popoli che ci appaiono legati a un armamentario fiabesco o leggendario, ma non per questo sono semplici o possono essere descritti in modo semplicistico.
Il fantasy parla di temi fondamentali e molto umani. Inoltre, se la ‘magia’ risolvesse davvero tutto con uno schiocco di dita, nessun libro di questo genere sarebbe mai stato scritto e men che meno letto, perché non ci sarebbe stata alcuna storia da raccontare.
Quando hai iniziato a scrivere? Ti ricordi il tuo primo racconto?
Ho iniziato a scrivere all’università, ma non ho idea di quale sia stato il primo risultato! Non so nemmeno se l’abbia mai finito. Probabilmente ha visto il cestino molto presto.
Era di sicuro un esperimento, un brano di qualcosa, una scena… perché non sono mai riuscita a scrivere racconti brevi (come si capisce, credo, dalla lunghezza media dei miei libri).
Le mie trame si complicano subito all’inverosimile e un racconto diventa prima che me ne accorga un romanzo. In ogni caso all’epoca non aveva importanza. Ho iniziato a scrivere solo per passatempo. Tentare di portare una storia a conclusione sembrava una follia, ed è stata più una sfida contro me stessa che il cercare di ‘essere un autore’. D’altronde quando la trama ti prende, spesso ti porta con sé fino alla fine e quando sei tu a scrivere, se vuoi sapere come va la storia, devi anche essere tu a dirlo…
Hai un “rito dello scrittore”? Quella cosa che fai per riuscire a scrivere, o che compi a romanzo concluso…
A fine romanzo, in genere, ho una sorta di senso di distacco che mi rende stranamente triste. L’unico modo di superarlo è mangiarmi una fetta di torta (se posso, fatta da me) e mettermi a lavorare a qualcos’altro.
Subito.
Buttar giù nuove trame, affezionarmi immediatamente ad altri personaggi o pensare ad altre storie con gli stessi personaggi.
Sia letterariamente sia cinematograficamente tendo ad amare la serialità, e nella mia scrittura credo che questo traspaia in modo chiaro. Anche perché, che se ne legga o se ne scriva, ogni personaggio diventa un amico alla fine di un libro, di un film o di un gioco, e con un amico vuoi continuare a parlare, vuoi sapere che gli capita.
Nelle storie che lo consentono mi piace farlo.
Da un paio d’anni scrivi anche con lo pseudonimo Avery Q. Isaacs, solo per il genere fantascientifico. La trovo una scelta particolare, soprattutto perché Avery è un nome maschile, ne esistono poche di varianti femminili. È una scelta legata al genere narrativo?
Sì e no. Spesso la fantascienza, soprattutto quella tecnologica, è associata (erroneamente) ad autori e lettori maschi, ma non ho fatto molto caso a questo quando ho scelto il nome, quanto alla sua ‘scorrevolezza’ e al fatto – pratico – che in una ricerca online non ci fossero altri autori con un nome simile.
Quando decidi per uno pseudonimo, infatti, ti rendi subito conto quanto sia complicata la scelta! Quello che mi interessava maggiormente era un omaggio (di affezione, senza pretese) ad Isaac Asimov, perché mi ha regalato e mi regala ancora moltissime splendide ore di lettura.
Oltre a dare l’idea che in questi miei lavori l’approccio era totalmente diverso dal fantasy, dallo YA e dai romanzi per ragazzi che erano stati la mia prima uscita.
Presto uscirà il terzo libro della serie Space Adventures.
E visto che sono una Quattrocchi curiosa: sei in pausa scrittura o stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Non sono mai in pausa di scrittura, anche se quest’anno sono andata un po’ a rilento per varie ragioni. Questo autunno però uscirà il terzo libro delle Space Adventures e spero di riprendere il mio naturale ritmo per il quarto, in modo da dare una regolarità più ‘da ciclo’ a questa serie che amo tantissimo.
E poi… c’è altro che bolle in pentola, naturalmente, ma non voglio anticipare troppo prima di essere più che certa!
Una curiosità fuori dalla scrittura: da una formazione classica sei passata a una laurea in ingegneria elettronica!
A cosa è dovuto questo cambio di rotta? Hai qualche consiglio per chi studia?
Forse sfaterò un mito, ma non ho fatto il Liceo Classico perché non mi piacevano le materie scientifiche!
Quando sono arrivata alla fine dei cinque anni, anzi, ne sentivo terribilmente la mancanza… quindi ho scelto una facoltà che mi permettesse di compensare.
All’epoca considerai molte cose, dovendo scegliere l’indirizzo degli studi, quasi tutte scientifiche (a parte archeologia: l’idea di disseppellire e datare reperti immaginando la vita di epoche lontane mi piaceva da matti). E la verità è che in realtà non ci sono grandi consigli che si possano dare a chi deve scegliere il proprio percorso.
L’unica cosa è scegliere qualcosa che ti entusiasmi! Questa è la chiave per tutto.
Salutaci con il tuo motto o inventane uno per l’occasione!
Volate alto! E ho sempre desiderato dirlo: che la Forza sia con voi!
Miki Monticelli non è la prima autrice fantasy intervistata su Parola di Quattrocchi!
Scopri chi è Laura Fornasari e la sua saga fantasy: Le lacrime di Ishtar.
L’ha ribloggato su Miki Monticelli.