Buongiorno Quattrocchi!
Continua il viaggio nel mese dedicato alla scrittura e per renderlo straordinario ho intervistato Erika, book blogger che se ancora non conosci finirai per adorare senza riserve.
Conosciuta online come @erigibbi (o @eri_gibbi), Erika riesce a trasmettere il suo amore per i libri anche in quei 30 secondi concessi dalle stories di Instagram.
Ma non ci siamo fermate a parlare solo di questa grande passione, quindi mettiti comodo, è il momento di sfoderare tè e biscotti, e preparati a un nuovo punto di vista.
Lasciatelo dire: sei una super Quattrocchi!
Adoro le tue rubriche e il modo in cui curi il tuo profilo Instagram.
Quando hai deciso di voler condividere la tua passione per la lettura? È nato prima il blog o il canale YouTube?
Ma grazie, sono davvero felice che le mie rubriche ti piacciano (e sì, sono una super Quattrocchi, non ci sono dubbi!).
Mah, se dovessi guardare la prima volta che ho condiviso su Facebook o su Instagram una citazione di un libro che mi aveva particolarmente colpito, direi anni fa. Se invece ti riferisci a quando ho cominciato a farlo seriamente e con costanza, direi da un annetto, anche se sia il blog sia YouTube sono aperti da più di un anno.
YouTube è arrivato prima del blog (non di molto, qualche mese), ma era completamente diverso, parlavo in inglese e di qualsiasi argomento.
Quei video sono relegati nel mio YouTube privato adesso, non li troverete mai! 😉
Cosa significa per te consigliare un libro? Come affronti la scrittura di una recensione?
A volte mi prende l’ansia.
Quando il libro non mi è piaciuto devo fare i conti con diversi aspetti: nel caso sia un libro noto e piaciuto ai più ho paura di ricevere insulti e offese da chi lo ha amato, mentre se si tratta di un libro di un autore emergente ho paura di ricevere insulti e offese dall’autore stesso.
Di sicuro è colpa mia, del mio carattere. Sono una persona estremamente insicura e con zero autostima, dipendo molto dal parere degli altri.
Quando invece si tratta di un libro che ho amato profondamente spero di essere abbastanza brava da convincere chi mi segue ad acquistarlo, è il massimo a cui aspiro: che quel libro venga letto e conosciuto da più persone possibili e che magari anche gli altri vadano poi ad amarlo e apprezzarlo quanto me.
Io adoro quello che faccio.
Mi piace scrivere e dire quello che penso quando si tratta di un libro. Non mi impongo nulla, scrivo a ruota libera, mi prendo tutto il tempo che mi serve (solitamente poco, proprio perché scrivo di getto).
Perdo più tempo a rileggere per controllare non ci siano errori, che a scrivere la recensione.
Rimanendo in ambito scrittura, anche perché novembre è il Writing Month, sappi che adoro la tua rubrica: #gibbi_error404.
Secondo te qual è l’errore che viene commesso più di frequente? E quello che più ti disturba? Io ho un’avversione verso le “d” eufoniche messe a sproposito e l’uso eccessivo degli avverbi!
Fortunatamente per ora ho trovato solo un libro con “d” eufoniche OVUNQUE.
Sì, molto fastidioso, sono d’accordo.
Credo che tra tutti gli errori più frequenti la virgola al posto sbagliato sia quello che a me dà più fastidio, soprattutto perché molto spesso questo tipo di errore va a inficiare la lettura, si rende difficoltosa la comprensione di quello che si sta leggendo, si deve tornare indietro e rileggere per capire bene.
Devo dire che anche po’ scritto con l’accento invece che con l’apostrofo è qualcosa che mi crea letteralmente i brividi (e che ahimè vedo molto spesso).
Non lo posso proprio vedere scritto in quel modo e lo stesso vale per qual è scritto con l’apostrofo.
Tra le tue rubriche c’è anche quella dedicata ai libri trash.
Quali caratteristiche deve avere un libro per essere trash? Ma soprattutto: come riesci ad arrivare fino in fondo alla lettura?
Io solitamente reputo trash un libro ricco di cliché sul genere maschile e femminile, il tutto arricchito da scene di sesso così fantasiose che in confronto Tolkien era un profano del genere.
Poi tengo in considerazione anche frasi senza senso, che leggo e rileggo 5 volte (come ben sai) e proprio non riesco a capire cosa l’autrice/l’autore volesse dire (e il problema, per una volta, non è chiaramente mio).
Per me sono libri trash quei libri che trasmettono messaggi sbagliati tipo: essere cattivi ragazzi fa figo, ubriacarsi fa figo, fare sesso con chi capita (tanto meglio se non protetto) fa figo, fare gare spericolate in moto o in auto fa figo, essere violenti fa figo, essere trattate come oggetti dai maschi fa figo, insomma, potrei continuare a lungo, ma credo si sia capito.
Per quanto riguarda “arrivare fino alla fine” sono sincera: a volte è veramente dura; ma il più delle volte mi diverto, mi diverto davvero tanto, arrivo anche a piangere da quanto rido.
Da un punto di vista di curriculum anche tu hai fatto un bel cambio di rotta.
Da una laurea in psicologia sei passata a un corso professionale di editing.
Cosa ti ha spinta a fare questa scelta?
Principalmente una grandissima delusione.
Mi ci è voluto un anno e mezzo per ammettere a me stessa in primis, e poi dirlo ai miei genitori, che quella strada non faceva più per me.
Amo la psicologia, e so per certo che sarà qualcosa che amerò per sempre, ho semplicemente capito che non è quello il lavoro che voglio, la vita che voglio.
Non è stato semplice, è dal liceo che studio psicologia, è dal liceo che mi dimostravo convinta di quello che avrei voluto fare “da grande” e poi, una volta grande, ho capito che quella non era più la mia strada.
Non volevo essere una delusione per gli altri, soprattutto per i miei genitori, sono abbastanza sicura di essere stata tale, ma non mi sono pentita della scelta che ho fatto.
Rinnovarsi non è sempre facile, soprattutto quando si parla di futuro lavorativo.
Hai mai pensato di unire i due ambiti di studio affrontati? Ti è mai capitata l’occasione?
No, sinceramente non ci ho mai pensato, ma probabilmente proprio perché con la psicologia non ci voglio più avere nulla a che fare, anche se continuo a leggere libri in merito.
Non è facile come sembra.
Magari sui libri si possono leggere storie di gente che è riuscita a stare meglio leggendo, ma nella vita reale, quando ti capita un paziente con un qualsiasi disturbo, più o meno grave, un libro non serve a nulla, un libro non ti risolve i problemi, non quando si necessita di una figura professionale come uno psicologo.
Parlando sempre di scelte e di futuro: com’è vivere in Galles? Quali opportunità ci sono per i famosi “cervelli in fuga” di cui parlano tanto i giornali? Pensi che l’idea di fondo sia di sfruttare l’esperienza all’estero per un futuro in Italia o che, invece, tornare non sia nei piani?
Non è stato facile per me all’inizio.
Non sono una coraggiosa, non sono una che ama l’avventura e le nuove esperienze.
Sono tremendamente abitudinaria, quasi una Sheldon Cooper al femminile.
Ma in questi casi il tempo aiuta, e anche avere vicino qualcuno che ti supporta.
Ora sto bene, ma per quanto mi sia adattata e mi trovi a mio agio mi manca l’Italia.
Prima di partire, per me ogni Paese estero era migliore dell’Italia, quasi perfetto.
Poi, quando ti trasferisci e veramente diventi una di quei famosi “cervelli in fuga”, è un attimo realizzare che il Paese perfetto (per te) è quello che ti sei lasciata alle spalle.
In termini di lavoro qui è sicuramente meglio, se sei un laureato almeno. E tra tutti, un aspetto positivo è che puoi andare avanti, puoi salire nella scala sociale, in molto meno tempo rispetto all’Italia.
È più semplice avere un aumento di salario e se vuoi fare dei corsi di aggiornamento o di specializzazione in molti casi sono gli stessi posti per cui lavori che te lo pagano perché sanno che così diventi più specializzato, saprai fare più cose e porterei più soldi all’azienda.
In sostanza, qui investono su di te, anche se sei neolaureato, in Italia no.
Tornare è assolutamente nei piani. Per quello che sto facendo io, che lavoro da casa e per conto mio, l’esperienza qui non mi darà nulla nel momento in cui torno in Italia, ma per il mio compagno sì. Sappiamo che l’Italia ha i suoi difetti, ma quello è il nostro Paese.
Siamo arrivate alla fine dell’intervista, per concluderla ci servono: il libro che stai leggendo in questo momento, la parola che useresti per descriverlo e il tuo motto. Se non ce l’hai, inventane uno!
Nel momento in cui sto rispondendo (28 ottobre) alle tue domande sto leggendo il quarto volume di Death Note e L’amore bugiardo di Gillian Flynn.
Per ora il volume di Death Note, come in realtà tutta la saga, lo descriverei con “figata” (molto professionale, lo so), mentre L’amore bugiardo lo descriverei con deludente (un parere positivo tanto per cambiare).
In realtà non ho un motto, ma appena ho creato erigibbi mi è venuta in mente una canzoncina che mi dà la carica (ed è una fortuna che tu non la debba sentire cantata): Vai Gibbika sei superforte, vai Gibbika sei superpotente, sconfiggi tutti i nemici daiiii.
Sentiti liberissima di tagliare il mio pseudo motto…
Grazie per l’intervista, è stato un piacere rispondere alle tue domande!
Grazie a te Erika, soprattutto per la canzoncina: ricordarsi di essere superforti è importante.
E grazie anche a te Quattrocchi, noi ci vediamo martedì prossimo con un recensendo di due libri perfetti per esercitarti. E se non sei ancora iscritto, puoi usare il tuo account WordPress o la tua mail per unirti a noi e non perderti le news con gli occhiali.
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