Con meno di cento caratteri è ormai possibile comunicare al mondo anche i pensieri più complicati, e con un semplice hashtag viene diffusa una richiesta per niente semplicistica: dare a Elsa, una delle due figure femminili protagoniste di Frozen, una fidanza.
Questa richiesta risulta difficile da digerire nonostante i passi in avanti compiuti, perché in fin dei conti è stata costruita una normalità che per molti non risulta riadattabile.
Elsa, però, ha tutte le caratteristiche per potersela cavare.
C’era una volta
Nella storia Disney non tutte le vicende iniziano allo stesso modo, perché non sempre si è parlato di principesse; si pensi a Il libro della giungla (1967) tratto da un romanzo (scritto da Rudyard Kipling) e non da una favola.
Stando però all’interno del tema «donne che se la cavano da sole» non può certamente mancare Mulan (1998), giovane eroina cinese che entra nell’esercito al posto del padre.
Anche qui un gesto d’amore e di sacrificio verso la famiglia – anche Belle aveva fatto lo stesso qualche anno prima – che comporta lustro e onore in modo decisamente non convenzionale.
Mulan va contro le tradizioni della Cina dell’VIII secolo d.C., e trovare l’amore non è il primo dei suoi pensieri: questo lungometraggio parla di amicizia, di rispetto e di coraggio, e la protagonista, un tempo un pesce fuor d’acqua, riesce finalmente a trovare il suo posto nel mondo.
In ogni caso, nessuna principessa/non principessa Disney è riuscita a starsene da sola come ha fatto Elsa, ma dal punto di vista maschile c’è riuscito Jim Hawkins de Il pianeta del tesoro (2002), dove l’amore colpisce solo il Dottor Doppler.
Viene spontaneo chiedersi come mai una donna necessiti di trovare l’amore, mentre un uomo possa raggiungere i propri obiettivi senza una donna al suo fianco… Ma in fin dei conti Il pianeta del tesoro è tratto dall’omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson, e lì Jim non trova proprio nessuno.
In ogni caso non desidero affatto andare contro l’amore vero o l’amore in generale, perché – probabilmente “a causa” della mia natura femminile – ammetto tranquillamente che avere qualcuno con cui condividere i momenti belli, ma anche quelli brutti, è qualcosa di unico e speciale… Basta vedere i primi cinque minuti di Up (2009) per capirne l’importanza.
Quello che però manca in tutte le storie Disney è la rappresentazione completa di tutte le storie d’amore possibili.
Se l’amore tra uomo e donna, genitori e figli, fratelli e sorelle, ma anche tra uomini e animali (rimanendo nell’ambito dell’amore familiare, non fatevi strane idee!), è stato illustrato più volte, arrivando anche a parlare di adozione (come in Tarzan, del 1999, che in maniera dolcissima vuole andare oltre le differenze), purtroppo manca l’amore tra persone omosessuali.
Sembra quasi che si cerchi di non vedere l’enorme e famosissimo elefante rosa che occupa il nostro salotto, ma rendiamoci conto che addobbarlo, fare gli acrobati e dipingerlo di grigio non lo farà sparire.
Sempre in ambito cinematografico e con il tema delle favole, Once Upon a Time (C’era una volta, ita) porta sul piccolo schermo la coppia Cappuccetto Rosso/Dorothy.
A un primo impatto sembra quasi che si sminuisca la situazione: Biancaneve non è per niente scioccata dalla cosa nonostante sia la principessa più vecchia, e nemmeno gli abitanti di Oz battono ciglio, nel momento in cui l’amore di Cappuccetto è tanto palese da andare a salvare la sua bella con il bacio del vero amore.
Eppure è chiaro che è così che dovrebbe essere: parliamo di amore e di accettazione da così tanto tempo che non ci siamo resi conti di fare esattamente l’opposto. In realtà stiamo mettendo solo nuovi paletti e nuovi freni, perché ora senza il rito di passaggio del coming out sembra impossibile accettare che una persona sia omosessuale.
Coming out
Il coming out, però, ritengo sia il primo passo verso la discriminazione: nessun etero necessita di questo rito di passaggio, come non lo si necessita in nessun altro ambito che abbia a che fare con la corporeità. Grazie al cielo non sono mai dovuta entrare in aula e dire alla classe che ero diventata donna e che ora subivo i dolori del ciclo (ahimè ci ha pensato mia madre affacciandosi alla finestra presa da un raptus di orgoglio femminile).
Così mi viene da pensare che, in un mondo ideale, un uomo o una donna che provano qualcosa per qualcuno del loro stesso sesso dovrebbero fare quello che fanno tutti gli altri: andare e provarci, senza il timore di una reazione piena di disgusto che comporti brutti sviluppi.
Il problema è che il coming out serve più a chi deve ricevere la notizia, in quanto è un modo per adattarsi alla situazione con una certa gradualità.
Nel cinema, ma anche nella narrativa, il coming out è stata più che altro una prerogativa maschile. Un uomo gay fa scalpore perché perde in automatico la sua mascolinità, e guarda caso finisce per diventare una femminuccia (come se essere donna fosse un difetto), abbassandosi addirittura di livello, visti gli appellativi che gli vengono affibbiati.
Sono molti gli stereotipi secondo cui un uomo gay possa essere unicamente associato alla figura femminile, ma è un po’ come dire che tutti gli italiani sono mafiosi (cosa che i film americani si divertono a trasmettere).
La figura della donna, invece, viene semplicemente messa da parte: una donna lesbica è spesso presa per indecisa, molti uomini pensano che basterebbe loro frequentare “un vero uomo” per cambiare idea. Ci sono poi persone che pensano che le lesbiche siano unicamente maschiacchi/camioniste (butch o tomboy in inglese) o donne esageratamente belle (femme) spesso legate al mondo dei porno.
Così, una lesbica è unicamente il desiderio proibito di un uomo o troppo brutta per essere piacente, e che proprio per questo decide di cambiare orientamento sessuale.
È come se, che si parli di uomini gay o di donne lesbiche, ci si figurasse uno stile gay e uno stile lesbico preconfezionato e pronto per essere identificato; ma un’esigenza di riconoscimento tale è forse legata alla paura di approcciarsi con queste persone?
La paura del diverso, colui che non rientra nei parametri prestabiliti e che per il quieto vivere deve distinguersi anche esternamente, facendosi riconoscere, in modo da permettere agli altri di vivere sereni.
Il timore di presentare un personaggio omosessuale potrebbe basarsi sull’idea che si verificherebbe un allontanamento da parte delle fan, non più interessate a essere Elsa. Ma io sono convinta del contrario: Elsa mostra la sua tenacia, la sua riservatezza, il suo coraggio, il suo amore, la sua femminilità, la sua indipendenza, diventando un simbolo per ogni bambina o ragazza, ma anche donna.
Elsa, in fin dei conti, ha già affrontato questo tipo di scoglio, ed è chiaro che tra tutte le principesse Disney, al momento è l’unica in grado di poterne affrontare un altro.