Continua la settimana dedicata alla cultura, il festival digitale Museum Week, e i contenuti che troverete in giro per il web saranno tutti a tema ambiente.
Si tratta di un argomento molto contemporaneo e discusso, sono sempre di più le realtà che cercano di provocare nelle persone un interesse verso il nostro pianeta che abbiamo trascurato per anni.
In questo periodo di quarantena, stando fermi ognuno a casa propria se non per fare la spesa e poco altro, la natura ha detto la sua 🌳
Gli animali si sono presi più libertà, andando a passeggio per le strade, senza preoccuparsi del traffico, mentre l’aria si è fatta più pulita.
Tante le voci che hanno parlato di questo fenomeno, su come fermarsi abbia fatto bene alla nostra casa.
A pensarci bene erano anni che si prometteva di fare qualcosa che comportasse un cambiamento, e sarebbe davvero un peccato se tutto questo lo si dovesse solo a una pandemia, a qualcosa che non dipende da noi e che una volta passata ci porterà alla situazione di prima.
Con la recensione di oggi voglio parlarvi di tre contenuti Netflix che penso possano farci entrare nell’ottica giusta: la Terra non è solo la nostra casa e se vogliamo che ospiti anche le nuove generazioni dobbiamo impegnarci. Dobbiamo fare in modo che fermarsi e capire siano una scelta, non una necessità dettata dal momento.
Principessa Mononoke: il danno dell’Occidente
Principessa Mononoke è il lungometraggio di Hayao Miyazaki che preferisco.
La storia parla di questa ragazza cresciuta coi lupi, divinità incarnate, che cerca di difendere la foresta e i suoi abitanti dalle società che si stanno creando, sempre più guerrigliere e approfittartici.
La storia ruota attorno al danno dell’Occidente nei confronti della cultura giapponese.
Viene data molta enfasi al confronto tra progresso e tradizione, binomio che viene in modo erroneo traslato in scienza contro natura.
Il Giappone è uno dei paesi più sviluppati a livello tecnologico e lo dimostrano le opere di pop culture come anime e manga. Aspetto che però non entra affatto in competizione con quello più simbolico e legato alla natura, perché a livello culturale tendono a dare un’anima a tutto ciò che esiste.
Sasso, pianta, animale: tutto ciò che esiste ha un essenza. Ecco perché lo Shintō viene definita una religione animista.
Come accennato nell’articolo dedicato alla religione negli anime, in Principessa Mononoke sono le armi da fuoco occidentali a infettare le creature della foresta e a renderle dei demoni.
Il lungometraggio inizia proprio con l’attacco a un villaggio di un demone cinghiale ricoperto da questo strato di melma viscida, che ricorda un ammasso di larve. Questa melma colpisce Ashitaka, che si ritrova il braccio segnato da lunghe cicatrici viola: segno che anche lui ora è affetto da quella stessa malattia.
Questa melma, oltre a far soffrire il cinghiale a tal punto da renderlo un essere incontrollato, lascia profondi solchi nel terreno, bruciandone l’erba verde.
Il messaggio è parecchio potente: avete portato le armi, il vostro tipo di progresso, e guarda cosa qual è il prezzo. Animali ammalati, destinati a soffrire fino alla morte, ed esseri umani in pericolo.
Consiglio la visione dell’opera nonostante su Netflix sia stata caricata la nuova traduzione, dal mio punto di vista peggiore della precedente.
In ogni caso è una di quelle storie da conoscere e da ammirare a livello visivo: la vividezza dei colori, l’unione tra tecniche tradizionali e animazione digitale rendono questo lungometraggio una vera e propria perla artistica.
Voto: 🤓🤓🤓🤓🤓
Durata: 2h 13′
Fantasy medievale giapponese
Studio Ghibli, 1997
Disponibile su Netflix
Nausicaa della Valle del vento: il danno è l’uomo
Se con Principessa Mononoke la questione ambientale può dirsi un effetto collaterale – il tema principale è infatti il confronto tra tradizione e progresso –, con Nausicaa della Valle del vento Hayao Miyazaki vuole mettere i puntini sulle i.
Si tratta di un fantascientifico dispotico, dove il pianeta Terra risulta essere ostile e i luoghi dove abitare diminuiscono sempre di più.
In pratica un cataclisma globale ha provocato la nascita di una giungla tossica, che viene denominata Mar Marcio e in cui l’uomo non può sopravvivere.
Le creature che abitano queste terre sono insetti giganti, comandati dai temuti Ōmu (vermi re).
Tra i luoghi ancora abitabili c’è la Valle del vento, uno spazio verde tra due alte montagne in cui regna il Re Jhil, padre di Nausicaa.
Nausicaa è una ragazza coraggiosa e curiosa, interessata a capire la vera natura del Mar Marcio e a mantenere la pace tra i diversi villaggi.
Ancora una volta non mancano i constanti rapporti tra tecnologia e natura, così come tra scienza e religione, facce di una stessa medaglia.
Rispetto a Principessa Mononoke, Nausicaa della Valle del vento pone l’accento sulla questione ambientale e su come l’essere umano creda che l’impossibilità di vivere sia colpa della natura, che di conseguenza andrà domata.
In realtà sarà proprio la curiosità di Nausicaa, e il suo interesse a studiare le piante, a portare alla luce la verità: a rendere tutto nocivo è stato l’uomo, e solo nel pieno rispetto della natura sarà possibile vivere.
Ho apprezzato un po’ meno questo lungometraggio rispetto al precedente, in parte per la storia che mi è sembrata più lenta e meno chiara, in parte perché dal lato grafico non rende allo stesso modo. Aspetto comprensibile visto che Nausicaa della Valle del vento è tredici anni più vecchio.
Questi elementi, però, non rovinano il messaggio di fondo e la capacità di Miyazaki di farci riflettere su un tema importante come l’inquinamento.
Devo dire che la situazione attuale ha comportato una maggiore sintonia coi personaggi, obbligati a girare fuori dalla Valle provvisti di maschere e protezioni.
Insomma, l’idea di non poter respirare l’aria in modo diretto mi ha colpita molto e questo mi ha portata a pensare a quei paesi dove anche prima della pandemia si era soliti girare per strada con le mascherine. Cosa che spero di non dover essere costretta a vivere un giorno.
Voto: 🤓🤓🤓😶😶
Durata: 1h 57′
Fastascientifico dispotico, mondo post apocalittico
Studio Ghibli, 1984
Disponibile su Netflix
Our Planet, documentario Netflix a tema ambiente
E concludiamo con l’ultima perla della giornata: Our Planet.
Netflix ha creato un documentario a puntate, otto in totale, per parlare del nostro pianeta.
In ogni puntata si scoprono fauna e flora di un determinato ambiente, e come i cambiamenti climatici ed esseri umani stiano influendo su entrambi.
In italiano la voce narrante è di Dario Penne, che tra le varie attività è anche il doppiatore di Anthony Hopkins.
Perché te lo sto dicendo? Perché se anche tu apprezzi le storie narrate dalle voci avvolgenti, calde e graffianti allora troverai questo documentario ancora più unico.
Ho apprezzato ogni singola puntata, tanto da commuovermi nel vedere come ogni creatura si comporti nei confronti di altre, di come la coesistenza di alcuni animali comporti benessere nell’ambiente circostante. Stupendomi di come ogni volatile abbia il suo rituale d’accoppiamento, e che i maschi sono disposti a rassettare il proprio spazio e a ballare in gruppo pur di farsi notare.
Mi sono anche chiesta in più occasioni se l’animale che vedevo in video fosse vero, se esistesse realmente.
Così come mi sono chiesta se faccio ancora in tempo a diventare biologa marina.
Tu che dici?
Penso davvero che il punto forte di questo documentario sia la capacità di stupire.
Mi ha messa di fronte a questioni a cui non avrei mai pensato, perché io sono una e mi chiedo come sia possibile che siamo riusciti a fare tutti quei danni.
Il fatto è che anche un centesimo compone un milione, quindi esattamente come siamo arrivati a incasinare l’habitat di così tanti esseri viventi, dobbiamo riuscire a capovolgere la situazione.
Mica per niente il tema di quest’anno della Museum Week è Togertherness.
Quindi, domanda: tu come pensi che si potrebbe essere più solidali verso il pianeta?
Voto: 🤓🤓🤓🤓🤓
Durata: 8 episodi, 48/53′ l’uno
Documentario sull’ambiente
Disponibile su Netflix